Regime forfetario: requisiti di accesso, permanenza e cessazione

Con la circolare del 5 dicembre 2023 n. 32, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti sulle nuove condizioni di accesso, permanenza e cessazione dal regime forfetario, a seguito delle modifiche apportate dalla Legge di bilancio 2023.

Le modifiche apportate dalla Legge di bilancio 2023 concernono le condizioni di accesso, permanenza e cessazione dal regime in argomento. La Manovra 2023 ha previsto:

  • l’innalzamento da 65.000 euro a 85.000 euro della soglia massima di ricavi conseguiti o di compensi percepiti nell’anno precedente;
  • tra le cause di cessazione del regime la fuoriuscita dal regime già a decorrere dall’anno stesso in cui viene superata la soglia di 100.000 euro di ricavi o compensi percepiti.

Con riferimento alle modalità di fatturazione delle operazioni effettuate, i soggetti che applicano il regime forfetario, sono obbligati a di emettere fattura elettronica:

  • dal 1° luglio 2022, in capo ai forfetari che, nell’anno precedente, hanno conseguito ricavi o percepito compensi superiori a 25.000 euro, ragguagliati ad anno;
  • dal 1° gennaio 2024, per tutti i soggetti che adottano il forfetario.

Passaggio dal regime ordinario al forfetario e viceversa

I contribuenti rientranti naturalmente nel regime forfetario possono optare per la determinazione delle imposte sul reddito e dell’IVA nei modi ordinari. L’opzione per il regime ordinario si perfeziona col comportamento concludente e l’omessa comunicazione in dichiarazione dell’opzione non pregiudica l’applicazione del regime ordinario, ma comporta la sanzione amministrativa di cui all’art. 8 c. 1 D.Lgs. 471/97. Trascorso il triennio minimo di permanenza nel regime ordinario, l’opzione resta valida per ciascun anno successivo, fin quando persiste la concreta applicazione della scelta operata.

Il contribuente in possesso dei requisiti per l’applicazione del regime forfetario, tuttavia, qualora abbia optato per il regime di contabilità semplificata può passare al regime forfetario senza attendere il decorso di un triennio, in quanto trattasi di due regimi naturali dei contribuenti minori.

Dalla fuoriuscita dal regime forfetario, con decorrenza dall’anno successivo a seguito del superamento dell’anzidetta soglia di ricavi e compensi (85.000 euro), discende il diritto alla rettifica dell’imposta non detratta, secondo le condizioni previste dall’articolo 19-bis2 del decreto IVA, per effetto dell’applicazione del regime forfetario, da esporre nella dichiarazione IVA relativa al primo anno di applicazione delle regole ordinarie. Il periodo d’imposta interessato dalla rettifica varia a seconda del limite di ricavi o compensi. Nel dettaglio:

  • il superamento del limite di 85.000 euro nell’anno x implica che l’eventuale rettifica dell’imposta non detratta sia esposta nella dichiarazione IVA relativa all’anno x+1;
  • il superamento del limite di 100.000 euro nell’anno x, invece, implica che la rettifica dell’imposta non detratta sia esposta nella dichiarazione relativa allo stesso anno, da presentare nell’anno x+1.

Superamento del limite di euro 100.000

Ai fini del superamento del limite di 100.000 euro rileva l’incasso dei medesimi e non l’emissione della relativa fattura: per la fuoriuscita dal regime forfetario si fa riferimento al momento dell’incasso come criterio unico che rileva, quindi, ai fini sia dell’IVA sia dell’IRPEF, incluse le relative ritenute d’acconto.

Con lo sforamento del limite di 100.000 euro si fattura con IVA:

  • l’operazione che ha generato l’incasso; il contribuente deve assoggettare a imposta il corrispettivo, integrando con l’IVA il documento originariamente emesso in costanza di regime forfetario;
  • tutte le altre cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate, ma non ancora fatturate al momento del suddetto incasso;
  • tutte le altre cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate successivamente al medesimo incasso e non ancora fatturate.

La dichiarazione IVA relativa all’anno nel quale è stata superata l’anzidetta soglia, pertanto, evidenzierà, oltre all’operazione il cui incasso ha comportato la fuoriuscita dal regime forfetario, tutte le operazioni (attive e passive) fatturate (pur essendo state effettuate in costanza di regime forfetario) successivamente all’incasso citato e tutte le operazioni (attive e passive) effettuate (e fatturate) successivamente all’incasso che ha comportato la fuoriuscita dal regime agevolato.

In ipotesi di superamento del limite di 100.000 euro in corso d’anno, l’imposta non detratta in costanza di regime forfetario, ai fini dell’eventuale rettifica della detrazione, è indicata nella dichiarazione IVA relativa all’anno del superamento.

Il superamento del limite di 100.000 euro nel corso dell’anno comporta che per detto periodo d’imposta troveranno applicazione le regole ordinarie di determinazione del reddito d’impresa o di lavoro autonomo: il costo dei beni che concorre alla determinazione del reddito d’impresa o di lavoro autonomo deve essere assunto al netto dell’IVA inizialmente non detratta (in costanza di regime forfetario) e ora rettificabile, per effetto del superamento del limite di 100.000 euro in corso d’anno, nella dichiarazione IVA relativa all’anno del superamento,

Il contribuente al superamento dei 100.000 euro di ricavi/compensi percepiti deve:

  • istituire i registri e le scritture contabili e annotare le operazioni con le modalità e nei termini a decorrere dal momento in cui è stato superato il predetto limite;
  • annotare le operazioni relative alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi, nonché agli acquisti effettuati anteriormente al superamento del predetto limite (a decorrere dall’inizio del periodo d’imposta) entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale;
  • adempiere agli ulteriori obblighi ordinariamente previsti per le operazioni che determinano il superamento del predetto limite e per quelle effettuate successivamente;
  • versare, entro il termine ordinariamente previsto, le imposte a saldo, relative all’anno in cui è stato superato il predetto limite, risultanti dalla dichiarazione annuale e calcolate sul reddito determinato nel rispetto delle norme del TUIR in materia di determinazione del reddito di lavoro autonomo e del reddito d’impresa.

Il superamento del limite di 100.000 euro di ricavi e compensi percepiti nell’anno, con ingresso immediato nel regime reddituale ordinario ai fini IRPEF, determina che i compensi percepiti dal professionista ex forfetario sono assoggettati alla ritenuta d’acconto.

Decadenza da precedenti opzioni e clausola di salvaguardia

Tenuto conto delle modifiche sostanziali apportate al regime forfetario dalla Legge di bilancio 2023 ne discende che i soggetti in regime ordinario per opzione nel 2022 possono transitare nel regime forfetario nel 2023, qualora in possesso dei relativi requisiti normativi, senza attendere il decorso del triennio previsto per l’esercizio delle opzioni IVA.

Pertanto, il soggetto che nel 2021 abbia optato per la contabilità ordinaria può, a partire dal 1° gennaio 2023, applicare il regime forfetario qualora il volume di ricavi o compensi percepiti nel 2022 sia pari o inferiore alla soglia di 85.000 euro, come modificata dall’art. 1 c. 54 lett. a) L. 197/2022 (ovviamente ricorrendo anche gli altri requisiti), senza necessità di osservare il vincolo triennale di permanenza nel regime ordinario.

Da ultimo, in considerazione della circostanza che la disciplina in commento produce effetti in relazione alle operazioni già effettuate nel corso dell’anno 2023, gli uffici dell’Agenzia valuteranno, caso per caso, la non applicabilità delle sanzioni, qualora riscontrino condizioni di obiettiva incertezza in relazione a comportamenti difformi adottati dai contribuenti anteriormente alla pubblicazione del circolare in commento (clausola di salvaguardia).

Per la decadenza dal forfetario si guarda all’incasso, non alla fattura

Con la circolare n. 32, pubblicata ieri, l’Agenzia delle Entrate fa il punto sulla disciplina applicabile al regime forfetario di cui alla L. 190/2014; i chiarimenti arrivano a quasi un anno di distanza dalle ultime modifiche in materia, apportate dalla legge di bilancio 2023.

La corposa circolare, dopo aver riepilogato le principali caratteristiche del regime agevolato in commento, affronta le novità più rilevanti, costituite, in particolare:
– dall’innalzamento del limite dei ricavi e compensi ai fini dell’applicazione del regime, che a partire dal periodo di imposta 2023 passa da 65.000 euro a 85.000 euro;
– dall’introduzione di una causa di decadenza immediata dal regime, che si verifica al superamento della soglia di 100.000 euro di ricavi o compensi percepiti (art. 1 comma 71 della L. 190/2014).

I dubbi interpretativi maggiori si sono concentrati sulla nuova causa di fuoriuscita immediata, che ha effetti sulle imposte sui redditi, sull’IVA e sulle ritenute.
Dal punto di vista delle imposte dirette, il superamento del limite di 100.000 euro provoca la cessazione del regime forfetario per il periodo di imposta stesso nel quale si verifica detta condizione; a tal fine, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che per la verifica del predetto limite è necessario adottare il criterio di cassa, in linea con i criteri di determinazione del reddito propri del regime forfetario e con il dato letterale della disposizione in commento.

Il verificarsi della causa di decadenza rende dovuta l’IVA “a partire dalle operazioni effettuate che comportano il superamento del predetto limite”; secondo l’Agenzia delle Entrate, tenuto conto del fatto che il comma 71 fa riferimento ai ricavi o compensi “percepiti”, ciò che rileva è l’incasso dei medesimi, e non l’emissione della relativa fattura.
Di conseguenza:
– la fattura che comporta il superamento del limite di 100.000 euro, se emessa contestualmente all’incasso, deve esporre l’IVA a debito;
– se l’incasso avviene in un momento successivo all’emissione della fattura gli obblighi ai fini IVA vanno assolti a partire dal momento in cui il corrispettivo viene incassato; la relativa fattura dovrà inoltre essere integrata, anche se emessa in un momento antecedente all’incasso che causa la fuoriuscita dal regime.

L’Agenzia delle Entrate chiarisce inoltre che deve essere assoggettata a IVA l’intera operazione che supera la soglia di 100.000 euro, senza possibilità di scindere il corrispettivo oggetto di fatturazione; in altre parole, il contribuente forfetario che, ad esempio, ha conseguito nel corso dell’anno un volume di ricavi o compensi pari a 90.000 euro, ed effettua un’operazione dal valore di 20.000 euro, incassandone contestualmente il corrispettivo, deve emettere la fattura applicando l’IVA sull’intero valore dell’operazione (20.000 euro), e non solo sull’importo oltre soglia (10.000 euro).

Diversamente, le operazioni fatturate anteriormente all’incasso oltre soglia rimangono soggette al regime forfetario; di conseguenza, tali operazioni non devono essere indicate nella dichiarazione annuale IVA, nemmeno nel caso in cui il relativo corrispettivo sia stato incassato successivamente alla fuoriuscita dal regime.

Il superamento della soglia di 100.000 euro ha effetti anche sull’applicazione delle ritenute d’acconto di cui al titolo III del DPR 600/73; in linea generale, i contribuenti forfetari non sono assoggettati a ritenuta d’acconto da parte del sostituto d’imposta, e non sono tenuti a operare tali ritenute (salvo il caso in cui si tratti di redditi di lavoro dipendente o assimilati).

In merito, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che, tenuto conto del fatto che per espressa disposizione normativa le ritenute sono operate all’atto del pagamento, le stesse vanno applicate ai compensi percepiti dal professionista che comportano il superamento della soglia e a quelli successivi; diversamente, le ritenute non devono essere operate retroattivamente per i compensi incassati prima del superamento del limite.

Per quanto riguarda le operazioni passive, il professionista assume il ruolo di sostituto d’imposta solo a decorrere dal primo pagamento effettuato successivamente al superamento della soglia, anche nel caso in cui la fattura già ricevuta non indichi l’importo della ritenuta.

La nuova causa di decadenza immediata ha generato, infine, alcuni dubbi anche in merito alla necessità di ragguagliare ad anno il limite di 100.000 euro, in caso di inizio dell’attività in corso d’anno.
In merito, l’Agenzia delle Entrate osserva che la norma richiede espressamente il ragguaglio ad anno relativamente alla soglia degli 85.000 euro, ma nulla dice in merito a quella dei 100.000 euro; ciò porta a ritenere che il superamento di tale ultima soglia rappresenti “una fattispecie speciale di cessazione dal regime forfetario, da intendersi in termini assoluti, considerando, a tal fine, i ricavi o i compensi concretamente percepiti” (in altre parole, il ragguaglio ad anno nel caso di specie non si applica).

In arrivo semplificazioni per le dichiarazioni dei sostituti d’imposta

Lo schema di decreto legislativo in materia di adempimenti tributari, approvato in esame preliminare dal Consiglio dei Ministri nella seduta dello scorso 23 ottobre e sul quale dovranno esprimere i propri pareri le Commissioni parlamentari competenti, prevede alcune semplificazioni in favore dei sostituti d’imposta.

Una prima misura, contenuta nell’art. 3, riguarda l’eliminazione della Certificazione Unica, a decorrere dall’anno di imposta 2024, per i compensi, comunque denominati, corrisposti ai contribuenti che adottano il regime forfetario (L. 190/2014) e il regime di vantaggio (art. 27 del DL 98/2011).
Benché sui compensi erogati a tali contribuenti non venga operata la ritenuta d’acconto per effetto delle disposizioni di esonero previste nelle leggi istitutive dei citati regimi agevolati, i sostituti d’imposta sono comunque tenuti al rilascio della Certificazione Unica, nella quale i compensi erogati sono identificati tramite specifici codici.

La semplificazione contenuta nello schema di decreto legislativo verrebbe inserita nel nuovo comma 6-septies dell’art. 4 del DPR 322/98 ed è da mettere in relazione alla piena operatività, a decorrere dal 1° gennaio del prossimo anno, dell’obbligo di fatturazione elettronica per i soggetti che utilizzano questi regimi agevolati. Ciò consente di alleggerire gli adempimenti a carico dei sostituti d’imposta poiché l’Amministrazione sarà già nelle condizioni di conoscere le prestazioni rese e fatturate dai contribuenti.
Operando per i compensi corrisposti dal 2024, l’esonero sarà operativo per la prima volta con riguardo alle CU 2025; le CU 2024, relative al 2023, seguiranno quindi ancora le “vecchie regole”.

Può essere osservato che i contribuenti in regime forfetario non sono tenuti a operare le ritenute alla fonte di cui al Titolo III (artt. 23-30) del DPR 600/73, a eccezione delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e assimilati di cui agli artt. 23 e 24 del DPR 600/73 (art. 1 comma 69 della L. 190/2014).
Proprio a fronte di tale esonero, nell’ambito del quadro RS del modello REDDITI PF deve essere indicato il codice fiscale del percettore dei redditi per i quali, all’atto del pagamento degli stessi, non è stata operata la ritenuta e il relativo ammontare. Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate aveva chiarito che il prospetto deve essere compilato facendo riferimento ai redditi e ai compensi pagati nel periodo d’imposta oggetto di dichiarazione, indipendentemente dal motivo per cui la ritenuta non sia stata effettuata. La compilazione deve avvenire, ad esempio, anche quando il soggetto percipiente sia a sua volta un soggetto forfetario per il quale la ritenuta non si applica ex art. 1 comma 67 della L. 190/2014 (circ. n. 10/2016, § 4.2.2).

Allo stesso di modo di quanto sopra rilevato per le Certificazioni Uniche, anche in questo caso, l’indicazione parrebbe superflua a seguito del ricorso generalizzato alla fatturazione elettronica. Onde evitare la comunicazione di dati di cui l’Amministrazione già dispone, sarebbe quindi opportuno un allineamento del chiarimento al nuovo quadro normativo.

La seconda semplificazione in favore dei sostituti d’imposta, presente nell’art. 16 dello schema di decreto legislativo, riguarda il modello 770, ossia la dichiarazione che deve essere utilizzata, ai sensi dell’art. 4 del DPR 322/98, per comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati fiscali relativi alle ritenute operate nell’anno precedente, i relativi versamenti e le eventuali compensazioni effettuate, il riepilogo dei crediti, nonché gli altri dati richiesti.

In particolare, si introduce la possibilità, in via sperimentale e facoltativa, di comunicare all’Agenzia delle Entrate i suddetti dati delle ritenute e delle trattenute di lavoro dipendente e autonomo nell’ambito dei versamenti mensili, utilizzando i servizi dell’Agenzia delle Entrate per la predisposizione dei modelli F24, evitando così di inserire nel modello 770 i dati già comunicati.
I dati relativi alle ritenute e trattenute operate sarebbero quindi indicati contestualmente al versamento mensile delle stesse e la comunicazione dei dati sarebbe così a tutti gli effetti equiparata all’esposizione degli stessi nel 770.

La disposizione sarebbe applicabile a decorrere dai versamenti relativi alle dichiarazioni dei sostituti d’imposta dell’anno di imposta 2025 (la semplificazione avrebbe quindi effetto sul 770 relativo al 2025 da presentare nel 2026) per i sostituti d’imposta con un numero di dipendenti non superiore a cinque al 31 dicembre dell’anno precedente.

Adesione con comportamento concludente

L’adesione al descritto sistema semplificato avviene tramite comportamento concludente ed è vincolante per l’intero anno d’imposta in cui è esercitata.
Un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate individuerà gli specifici elementi informativi da comunicare e le modalità e i termini per la trasmissione dei dati, nonché ogni altra disposizione di attuazione.

Ritorna l’adesione ai PVC con riduzione delle sanzioni a 1/6 del minimo

All’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri di oggi c’è lo schema di decreto legislativo in tema di accertamento tributario e concordato preventivo biennale, attuativo della legge delega per la riforma fiscale. In base alla bozza del testo, tra le novità più importanti figurano il ritorno dell’adesione ai PVC e la sostanziale “espansione” dell’adesione ante accertamento a tutte le fattispecie.

Vengono poi disciplinate le notifiche a mezzo PEC degli atti impositivi, i profili accertativi dell’imposta sulle assicurazioni e lo scambio di informazioni tra Stati.

L’adesione ai PVC era stata introdotta dal DL 112/2008 e abrogata dalla L. 190/2014. Tale istituto viene riproposto in maniera quasi identica, non reintroducendo l’art. 5-bis del DLgs. 218/97, ma un “nuovo” art. 5-quater:
– ricevuto il PVC, il contribuente può integralmente aderire ai rilievi, presentando comunicazione all’organo accertatore nei successivi trenta giorni;
– entro sessanta giorni, l’Agenzia delle Entrate notifica l’atto di definizione dell’accertamento parziale;
– le sanzioni sono ridotte a 1/6 del minimo edittale, il doppio rispetto all’accertamento con adesione.

Stupisce che il legislatore delegato non si sia premurato di arginare quello che si è rivelato il maggior punto dolente dell’adesione ai PVC: essa avveniva, e avverrà se il testo della norma non verrà cambiato, “al buio”, senza confronto con il contribuente. Questi deve aderire per intero ai rilievi, ma si può discutere sul riconoscimento di costi, indicati e non quantificati nel PVC, sul computo di perdite pregresse, sulla tassazione agevolata per la tipologia del contribuente e così via.
Si aprono così le vie all’impugnazione dell’atto di definizione, instaurando proprio quel contenzioso che l’adesione ai PVC ha l’intento di evitare.

Poi, sino alla presentazione della comunicazione e comunque non oltre i trenta giorni sono sospesi i termini di decadenza dall’accertamento, anche se non si è a ridosso dei termini stessi. Norma che, per come è scritta, potrebbe spingere gli uffici a invocare la sospensione quand’anche non si intenda definire.
Rimane il riferimento all’accertamento parziale, poco comprensibile visto che, in pratica, quasi tutti gli accertamenti possono essere parziali.

Il sistema introdotto dal DL 112/2008 prevedeva una sorta di esclusione reciproca tra adesione ai PVC e acquiescenza per quanto riguarda la più favorevole riduzione delle sanzioni a 1/6. Arrivato il PVC, lo si poteva definire al sesto, ma se non lo si definiva l’accertamento poteva essere definito a 1/3, 1/6 se non era stato preceduto da PVC. Ciò non viene riproposto, pertanto l’acquiescenza ex art. 15 del DLgs. 218/97 continua ad avvenire al terzo dell’irrogato.

Passando all’adesione, viene abrogato l’art. 5-ter del DLgs. 218/97 (adesione ante accertamento su invito degli uffici), ma nel contempo si stabilisce che l’invito del precedente art. 5 (strumentale all’adesione, che già contiene gli imponibili e le imposte) sia notificato in occasione del contraddittorio preventivo.
Quel tanto sospirato schema di provvedimento che il contribuente dovrà ricevere in attuazione del contraddittorio conterrà gli imponibili e le imposte.
In sostanza, si potenzia l’adesione ante accertamento su invito dell’Ufficio, che sarebbe ammessa, in via generalizzata, anche per gli accertamenti parziali e per le verifiche terminate con verbale di constatazione.

Inspiegabilmente, nonostante il tema sia oggetto di contenzioso ormai da anni, il legislatore delegato non inserisce gli avvisi di liquidazione tra gli atti definibili mediante adesione, in quanto il nuovo art. 12 del DLgs. 218/97 parla di accertamenti e di atti di recupero.
Gli avvisi di liquidazione (prima casa, riqualificazione atti) hanno spesso valenza accertativa, ma secondo la prassi degli uffici non rientrano nell’adesione.
Insomma, la tecnica legislativa lascia a desiderare.

Adesione ante accertamento potenziata

Non vengono modificati gli artt. 41-bis, 43 del DPR 600/73 e 57 del DPR 633/72: quel principio di unicità dell’accertamento che è stato introdotto nello schema di decreto modificativo della L. 212/2000 si risolve in una bolla di sapone, quantomeno per imposte sui redditi e IVA. Per la stessa imposta e lo stesso anno, il contribuente potrà, ora come allora, ricevere anche quattro o cinque accertamenti, tutti “parziali”.

Una novità positiva compare però anche in questa bozza di decreto: modificando l’art. 31 del DPR 600/73, si prevede che la Direzione provinciale competente per la società di persone sarà competente anche per l’accertamento sul reddito di partecipazione del socio.
Ci sarebbe un unico atto o due atti riconducibili alla stessa Direzione provinciale nonostante il domicilio fiscale della società e del socio divergano. Si eliminerebbero le annose, e talvolta irrisolvibili, problematiche derivanti dalla difficoltà di riunire ricorsi quando vi è diversità di domicilio fiscale, considerato che possono essere diverse anche le Corti tributarie competenti.

Plusvalenza estesa da 5 a 10 anni con interventi superbonus

La ritenuta di acconto applicata sui bonifici “parlanti” salirebbe dall’8% all’11% a decorrere dal 1° marzo 2024.
Aumenterebbe poi da 5 a 10 anni il periodo durante il quale la vendita di immobili, diversi dall’abitazione principale, deve scontare l’imposta sulla plusvalenza, penalizzando così le compravendite immobiliari.
È quanto emerge dal Ddl. di bilancio per l’anno 2024 che inizia l’iter in Senato: deferito in sede referente alla Commissione Bilancio, con il parere di tutte le altre Commissioni permanenti, è atteso in Aula da lunedì 27 novembre.

Quanto alla prima misura citata, quindi, verrebbe anticipato di un mese (dal 1° aprile al 1° marzo) il momento a decorrere dal quale la ritenuta, di cui all’art. 25 del DL 78/2010, che viene operata dagli istituti di crediti e da Poste italiane all’atto di accredito dei pagamenti eseguiti dai contribuenti con bonifici “parlanti” e relativi agli interventi “edilizi”, salirà di ulteriori tre punti percentuali.

Cambia inoltre, rispetto a una precedente versione in bozza, la norma contenuta nel Ddl. di bilancio 2024, che prevede un ampliamento delle ipotesi per cui si genera una plusvalenza tassata in caso di cessioni di immobili sui quali sono stati effettuati interventi che hanno consentito di fruire del superbonus, di cui all’art. 119 del DL 34/2020.
Aggiungendo la lett. b-bis) all’art. 67 comma 1 del TUIR verrebbe previsto che rientrino tra i redditi diversi “le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili, in relazione ai quali il cedente o gli altri aventi diritto abbiano eseguito gli interventi agevolati” con il superbonus, di cui all’art. 119 del DL 34/2020, “che si siano conclusi da non più di dieci anni all’atto della cessione”.

Rimarrebbero esclusi “gli immobili acquisiti per successione e quelli che siano stati adibiti ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari per la maggior parte dei dieci anni antecedenti alla cessione o, qualora tra la data di acquisto o di costruzione e la cessione sia decorso un periodo inferiore a dieci anni, per la maggior parte di tale periodo”.
La disposizione riguarderebbe le cessioni poste in essere dal 1° gennaio 2024.

Nel caso di immobili diversi dall’abitazione principale non acquisiti per successione sui quali siano stati effettuati interventi godendo del superbonus, quindi, verrebbe tassata la plusvalenza derivante dalla loro cessione nei dieci anni successivi (in luogo dei cinque anni previsti in una precedente bozza del Ddl. di bilancio 2024).

Ai fini della determinazione dei costi inerenti al bene sul quale sono stati effettuati interventi con il superbonus, inoltre, modificando l’art. 68 comma 1 del TUIR, verrebbe stabilito che:
– se gli interventi sono conclusi da non più di 5 anni dall’atto di cessione, non si tiene conto delle spese relative a tali interventi, qualora si sia fruito dell’incentivo nella misura del 110% e siano state esercitate le opzioni di cui all’art. 121 del DL 34/2020;
– se gli interventi sono conclusi da più di 5 anni ma entro i 10 dall’atto di cessione, si tiene conto del 50% delle spese se si è fruito dell’agevolazione nella misura del 110% e se sono state esercitate le suddette opzioni.

Esemplificando, si ipotizzi pari a 100.000 euro il costo di acquisto di un’immobile (non abitazione principale) sul quale, nel corso del 2021, sono stati effettuati interventi con il superbonus del 110% per un importo di 160.000 euro per i quali si è optato per lo sconto sul corrispettivo: se entro 5 anni dal termine dei lavori l’immobile viene ceduto per 300.000 euro, la plusvalenza sarà pari a 200.000 euro (determinata dalla differenza tra 300.000 euro e 100.000 euro).
Se il medesimo immobile viene ceduto dopo 5 anni dall’ultimazione dei lavori, ma entro i 10 anni, la plusvalenza tassata sarà pari a 120.000 euro [300.000 euro – (100.000 euro + 80.000)].

Rimane fermo che per gli stessi immobili acquisiti o costruiti, alla data della cessione, da oltre cinque anni, il prezzo di acquisto o il costo di costruzione, come suddetto determinato, è rivalutato in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.

Alle suddette plusvalenze risulta possibile applicare l’imposta sostitutiva dell’IRPEF del 26%, di cui all’art. 1 comma 496 della L. 266/2005.

Nell’omessa dichiarazione sanzioni proporzionali anche con IVA pagata

Con la risposta a interpello n. 450 di ieri, l’Agenzia delle Entrate, ribaltando implicitamente la tesi a suo tempo affermata con la circolare n. 54 del 2002, si è adeguata a quanto sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 46/2023 in tema di imposte sui redditi, specificando che ciò vale anche per l’IVA.

Se il contribuente omette la dichiarazione IVA ma comunque paga le imposte, sarà sanzionato in modo proporzionale, quindi:
– con sanzione dal 60% al 120% con minimo di 200 euro se la dichiarazione è trasmessa entro il termine per inviare quella del periodo di imposta successivo e comunque prima di ogni controllo;
– con sanzione dal 120% al 240% con minimo di 250 euro se la presentazione avviene dopo.

Gli uffici potranno tuttavia tenere conto della condotta del contribuente e applicare la riduzione della sanzione sino alla metà del minimo come prevede l’art. 7 comma 4 del DLgs. 472/97.
L’unico caso in cui viene irrogata una sanzione fissa si ha laddove vengano pagate le imposte entro i 90 giorni (ovvero sino a quando la dichiarazione, pur tardiva, non si considera ancora omessa ai sensi dell’art. 2 comma 7 del DPR 322/98).
Insomma, quando ci sono più interpretazioni possibili, prevale automaticamente l’interpretazione meno favorevole al contribuente (dunque quella più favorevole alle casse dell’Erario).

Ma, a ben vedere, l’interpretazione serve quando sussiste una lacuna da colmare, che potrebbe esserci nelle imposte sui redditi ma non ai fini IVA.
Si riporta l’art. 5 comma 1 del DLgs. 471/97: “Per determinare l’imposta dovuta sono computati in detrazione tutti i versamenti effettuati relativi al periodo, il credito dell’anno precedente del quale non è stato chiesto il rimborso, nonché le imposte detraibili risultanti dalle liquidazioni regolarmente eseguite”.

Nella risposta a interpello si effettua un’operazione “ortopedica” della norma, aggiungendo quello che non dice, ovvero: “sono computati in detrazione tutti i versamenti effettuati relativi al periodo [purché entro il termine dei 90 giorni dalla dichiarazione]”.
La logica è quella della sentenza “manipolativa” della Consulta, ma l’Agenzia delle Entrate non gode di legittimazione, non è la Corte Costituzionale.

Non si spiega perché non si ritiene più “attuale” la circolare n. 54 del 2002, citata dall’interpellante, ove si era sostenuto che, in sede di accertamento induttivo, ove risultassero effettuati i versamenti le sanzioni sarebbero state fisse, trattandosi di dichiarazione omessa dalla quale non emergono imposte da versare (circ. Agenzia delle Entrate 19 giugno 2002 n. 54 § 17.1).

Appare evidente come l’Agenzia delle Entrate abbia recepito quanto detto dalla Corte Costituzionale con la sentenza 17 marzo 2023 n. 46: non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del DLgs. 471/97 che, nel prevedere, per l’omessa dichiarazione, una sanzione dal 120% al 240% delle imposte dovute, non specifica che ciò va calcolato solo sul residuo dell’imposta ancora da pagare.
Può però operare l’art. 7 comma 4 del DLgs. 472/97.

Insomma, il quadro sanzionatorio indicato confligge a pieno titolo con il diritto unionale, che ha come principio fondamentale la proporzionalità.

Vengono nella risposta di ieri indicate le sanzioni (con le riduzioni da ravvedimento) che il contribuente deve pagare se per errore (o anche intenzionalmente) omette le fatture e le dichiarazioni:
– sanzione del 90% per omessa fatturazione con minimo di 500 euro, per ogni operazione (art. 6 comma 1 del DLgs. 471/97);
– sanzione di 500 euro per omessa LIPE (art. 11 comma 2-ter del DLgs. 471/97);
– sanzione del 120% (o del 60%) riducibile alla metà per l’omessa dichiarazione, essendo del tutto irrilevante che le imposte siano state pagate (non ravvedibile);
– sanzione di 1.000 euro per irregolare contabilità (art. 9 del DLgs. 471/97);
– nella specie, sanzione di 500 euro per mancata dichiarazione di inizio attività (art. 5 comma 6 del DLgs. 471/97).
Poi (ma nella risposta non se ne parla) bisogna spesso aggiungere le sanzioni da dichiarazione infedele/omessa in tema di imposte sui redditi e IRAP.

Per la causa di non punibilità/attenuante per il reato dell’art. 5 del DLgs. 74/2000 occorre pagare tutte le somme anche ai fini sanzionatori. Se non ci si adegua a quanto indicato, le Entrate potrebbero non rilasciare il certificato dell’art. 22 del DLgs. 74/2000.
Sebbene ci siano le riduzioni da ravvedimento, sebbene ci sia la riduzione sino alla metà del minimo per l’omissione dichiarativa, è davvero arduo affermare che la proporzionalità sia rispettata.

Non resta che confidare nel legislatore delegato, che, in attuazione della L. 111/2023, potrà agire su diversi fronti, superando definitivamente interpretazioni che non solo, come dimostrato, sono in contrasto con la norma, ma che hanno l’effetto di incrinare in modo permanente il rapporto tra Stato e contribuenti.

Per gli impatriati, torna la detassazione al 50% solo per i lavoratori qualificati

Lo schema di DLgs. di attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale, approvato dal Governo in via preliminare il 16 ottobre, revisiona in modo dirompente l’agevolazione per i lavoratori impatriati.

Di fatto, lo schema dispone un ritorno al passato del beneficio che, dal 2024, riguarderà i soli lavoratori in possesso dei requisiti di elevata qualificazione e specializzazione, i quali potranno godere della detassazione nella misura del 50% se il reddito rispetta un determinato limite.
Rimane invariata la detassazione per i docenti e i ricercatori (art. 44 del DL 78/2010), mentre non risulta chiaro, a una prima lettura, come il regime opererà nei confronti degli sportivi professionisti.

L’intervento tende ad allineare la normativa a quanto previsto dagli altri Stati europei, ponendo requisiti più stringenti.
Più nel dettaglio, l’art. 7 della bozza di DLgs. dispone che il nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori impatriati riguardi i redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia.
Si tratta di una prima rilevante novità in quanto, ove la formulazione venisse confermata, rimarrebbero esclusi i redditi di impresa percepiti dall’imprenditore individuale, i quali rientrano invece nella versione dell’agevolazione attualmente vigente.

Altra significativa novità è l’introduzione di un limite di reddito agevolato, pari a 600.000 euro.
La nuova misura di detassazione è pari al 50% del reddito (non più quindi pari al 70%) e, diversamente da quanto a oggi previsto, non è stabilita alcuna riduzione ulteriore per i trasferimenti di residenza nel Sud Italia (in tale ipotesi la detassazione è pari al 90%).

Venendo ai requisiti di carattere soggettivo, va rilevato come la norma torni a interessare i soli soggetti in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti dal DLgs. 28 giugno 2012 n. 108 e dal DLgs. 9 novembre 2007 n. 206. In altre parole, come nella versione dell’agevolazione vigente fino al 29 aprile 2019, la fruizione del beneficio è subordinata alle seguenti condizioni:
– conseguimento di un titolo di istruzione superiore rilasciato da autorità competenti nel Paese dove è stato conseguito che attesti il completamento di un percorso di istruzione superiore di durata almeno triennale e della relativa qualifica professionale superiore, rientrante nei livelli 1 (legislatori, imprenditori e alta dirigenza), 2 (professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione) e 3 (professioni tecniche) della classificazione ISTAT delle professioni CP 2011, attestata dal Paese di provenienza e riconosciuta in Italia;
– possesso dei requisiti previsti dal DLgs. 9 novembre 2007 n. 206, limitatamente all’esercizio delle professioni ivi regolamentate.

Cambiano anche i requisiti legati alla residenza estera pregressa e al mantenimento della residenza in Italia, pena il recupero dei benefici fruiti con le relative sanzioni e interessi.
Per fruire del nuovo regime, infatti, si richiede che i lavoratori siano stati residenti all’estero nei tre periodi di imposta precedenti il trasferimento in Italia (in luogo dei due periodi richiesti dall’attuale regime) e che gli stessi si impegnino a risiedere in Italia per almeno cinque anni (in luogo dei due anni previsti dall’attuale regime).

Discontinuità rispetto all’attività ante rientro

Di particolare rilevanza sono poi i requisiti legati all’attività lavorativa da svolgere in Italia per la maggior parte del periodo di imposta. Il nuovo regime richiede, al riguardo, che la stessa sia svolta in virtù di un “nuovo” rapporto di lavoro con un soggetto “diverso” da quello presso il quale il lavoratore era impiegato all’estero prima del trasferimento nonché da quelli appartenenti al suo stesso gruppo.

Anche in questo caso, si determina una restrizione dell’ambito applicativo del beneficio, con conseguente superamento dell’interpretazione, fornita in virtù dell’ampia formulazione dell’attuale art. 16 del DLgs. 147/2015, per cui, al di fuori dell’ipotesi del distacco, l’agevolazione non è subordinata al rispetto di particolari requisiti di novità del rapporto di lavoro, potendone fruire anche la persona che, rientrata in Italia, continui a svolgere la medesima attività per il datore di lavoro estero in modalità smart working.

La nuova norma dispone infine l’abrogazione, dal 1° gennaio 2024, dell’art. 16 del DLgs. 147/2015, nonché dell’art. 5 commi 2-bis, 2-ter e 2-quater del DL 34/2019. In altre parole, è disposta l’abrogazione della disciplina degli impatriati a oggi operativa (ivi inclusa la facoltà di prolungamento della stessa).
Le stesse disposizioni, però, continuano a trovare applicazione nei confronti dei soggetti che hanno trasferito la residenza fiscale in Italia entro il 2023.

Trasferimenti fino al 2023Trasferimenti dal 2024
Redditi agevolati – EntitàNessun limiteLimite massimo di 600.000 euro
Redditi agevolati – NaturaReddito di lavoro dipendente e assimilato, reddito di lavoro autonomo, reddito d’impresa dell’imprenditore individualeReddito i lavoro dipendente e assimilato, reddito di lavoro autonomo
Misura dell’agevolazioneReddito imponibile al 30%
Reddito imponibile al 10% per i trasferimenti al sud Italia
Reddito imponibile al 50% per gli sportivi professionisti
Reddito imponibile al 50%
Durata dell’agevolazione5 periodi di imposta
(facoltà di proroga per ulteriori 5 periodi)
5 periodi di imposta 
(non sono previste proroghe)
Residenza estera pregressa2 periodi di imposta3 periodi di imposta
Impegno a mantenere la residenza in Italia2 anni5 anni
Attività lavorativa svolta prevalentemente in ItaliaNon necessaria la discontinuità con l’attività svolta ante trasferimento (con l’eccezione dell’ipotesi di distacco)Rapporto di lavoro nuovo con soggetto diverso da quello ante trasferimento
Qualificazione o specializzazioneNessuna Possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione

Secondo acconto IRPEF al 16 gennaio 2024 per imprese e professionisti

Le persone fisiche titolari di partita IVA, che nel 2022 dichiarano ricavi o compensi non superiori a 170.000 euro, avranno tempo fino al 16 gennaio 2024 per versare la seconda rata degli acconti d’imposta dovuti in base al modello REDDITI 2023.
È quanto dovrebbe prevedere il DL fiscale collegato al Ddl. di bilancio 2024, approvato dal Consiglio dei Ministri di ieri, 16 ottobre.

In base alle bozze sinora circolate, la misura sarebbe temporanea, cioè applicabile per il solo periodo d’imposta 2023.

Inoltre, se la formulazione della disposizione non varierà in seguito alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, dalla proroga sarebbero esclusi:
– le persone fisiche titolari di partita IVA, ma che nel 2022 dichiarano ricavi o compensi di importo superiore a 170.000 euro;
– le persone fisiche “non titolari” di partita IVA (dovrebbero rientrarvi anche i soci di società e associazioni “trasparenti” ai sensi degli artt. 5, 115 e 116 del TUIR, sempre che non siano titolari di una propria partita IVA);
– i soggetti diversi dalle persone fisiche (ad esempio, le società di capitali e di persone, nonché gli enti commerciali e non commerciali).

Per i suddetti soggetti, il termine di versamento resterebbe fermo quindi al 30 novembre 2023 (per i soggetti “solari”).

La norma che si intende introdurre richiama l’“acconto dovuto in base alla dichiarazione dei redditi”.

Sotto il profilo oggettivo, dovrebbero quindi rientrare nella proroga, oltre all’IRPEF, anche le imposte sostitutive delle imposte sui redditi dovute dai contribuenti che si avvalgono di forme di determinazione del reddito con criteri forfetari, oppure per le quali si applicano i criteri IRPEF di versamento dell’acconto. Si tratta, in pratica, dei seguenti tributi:
– l’imposta sostitutiva per il regime di vantaggio (artt. 27 commi 1, 2 e 7 del DL 98/2011 e 1 commi 96 – 115 e 117 della L. 244/2007);
– l’imposta sostitutiva per il regime forfetario (art. 1 commi 54 – 89 della L. 190/2014);
– la cedolare secca sulle locazioni di immobili abitativi (art. 3 del DLgs. 23/2011 e provv. Agenzia delle Entrate n. 55394/2011);
– l’IVIE (art. 19 commi 13-17 del DL 201/2011);
– l’IVAFE (art. 19 commi 18-22 del DL 201/2011);
– l’imposta sostitutiva per compensi da ripetizioni (art. 1 commi 13-16 della L. 145/2018).
– l’addizionale IRPEF sul materiale pornografico e di incitamento alla violenza, c.d. “tassa etica” (art. 1 comma 466 della L. 266/2005 e DPCM 13 marzo 2009).

Si tratta, infatti, di tributi che vengono liquidati nel modello REDDITI.

In ogni caso, il riferimento alla “seconda rata” e non alla “seconda o unica rata” dovrebbe escludere dalla proroga coloro che non hanno versato la prima rata d’acconto perché non erano tenuti a farlo in quanto di ammontare non superiore a 103 euro. In tale ottica, l’esclusione sarebbe motivata dall’esiguità degli importi coinvolti (l’acconto complessivo sarebbe di 206 euro per i soggetti ISA e 257 euro per i soggetti estranei agli ISA).

Per espressa previsione normativa, dalla proroga sarebbero invece esclusi i “contributi previdenziali” e, quindi, ad esempio, i contributi INPS dovuti dai lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata ex L. 335/95 e dagli artigiani e commercianti.

Infine, anziché in un’unica soluzione entro il 16 gennaio 2024, la seconda rata dei suddetti acconti potrà essere pagata in cinque rate mensili di pari importo, a decorrere dal mese di gennaio, con scadenza il giorno 16 di ciascun mese. Sulle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi nella misura del 4% annuo (ex artt. 20 comma 2 del DLgs. 241/97 e 5 comma 1 del DM 21 maggio 2009).

Restano invariati gli altri aspetti della disciplina degli acconti d’imposta, per i quali continuano ad applicarsi le consuete disposizioni.

Sanatoria per le irregolarità formali entro il 31 ottobre 2023

Terminate le procedure relative alla maggior parte dei suddetti nuovi istituti, uno strumento a cui sarà ancora possibile accedere nei prossimi giorni è costituito dalla definizione agevolata delle irregolarità formali – ex art. 1 c. 166-173 L. 297/2022 – il cui perfezionamento dovrà essere raggiunto entro il termine del prossimo 31 ottobre 2023.

Si tratta di una specifica tipologia di ravvedimento operoso che consentirà ai contribuenti la possibilità di sanare spontaneamente le infrazioni, le irregolarità e l’inosservanza di obblighi o adempimenti di natura formale commessi fino al 31 ottobre 2022 in materia di imposte sui redditiIVA ed IRAP.

Perfezionamento della regolarizzazione

I contribuenti interessati dovranno affrontare i seguenti adempimenti procedurali e rispettare i seguenti step di natura temporale affinché l’istituto in esame possa perfezionarsi:

  • entro il 31 ottobre 2023 dovrà essere effettuato il versamento della somma di € 200,00 necessaria per sanare le violazioni formali commesse entro il 31 ottobre 2022;
  • entro il 31 marzo 2024 sarà necessario procedere – ove possibile – alla rimozione delle irregolarità od omissioni.

In merito alle modalità di versamento, è utile ricordare che:

  • l’importo di € 200,00 dovrà essere versato per ciascun periodo d’imposta cui le violazioni formali si riferiscono, con possibilità di optare per una forma di pagamento rateale da suddividere in due trance – di cui la prima dovrà essere versata entro il 31 ottobre 2023 e la seconda entro il 31 marzo 2024;
  • nel modello F24 dovrà essere indicato lo specifico codice tributo TF44 appositamente istituito con la Risoluzione n.6/E del 14 febbraio 2023;

Nel suddetto modello F24 è necessario indicare anche il periodo d’imposta cui si riferisce la violazione che si vuole regolarizzare tenendo presente che:

  • se le violazioni non si riferiscono a un periodo d’imposta, occorre fare riferimento all’anno solare in cui sono state commesse;
  • per chi ha periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare, il versamento regolarizza le violazioni riferite al periodo che ha termine nell’anno solare indicato nell’F24;
  • se nello stesso anno solare si chiudono, in date diverse, più periodi d’imposta, il versamento di € 200 va effettuato per ciascuno di essi.

Per quanto riguarda la rimozione delle irregolarità od omissioni, invece, è stato precisato che:

  • la rimozione non deve essere effettuata quando non sia possibile o necessaria avuto riguardo ai profili della violazione formale – come, ad esempio, in ipotesi di errata applicazione del meccanismo dell’inversione contabile che, comunque, non ha comportato il mancato pagamento dell’imposta;
  • nei casi in cui, per un giustificato motivo, non vengano rimosse tutte le violazioni formali dei periodi d’imposta oggetto di regolarizzazione, è previsto che l’Agenzia delle Entrate indichi al contribuente un termine non inferiore a 30 giorni entro cui provvedere al mancato adempimento;
  • la scadenza del 31 marzo 2024 andrà sempre rispettata in caso di violazione constatata o per la quale è stata irrogata la sanzione o comunque fatta presente all’interessato;
  • in ogni caso, l’eventuale mancata rimozione di tutte le violazioni formali non pregiudica gli effetti della regolarizzazione di quelle correttamente rimosse.

Meritevole di attenzione è la regola secondo cui, in presenza di un processo verbale di constatazione nel quale siano state rilevate violazioni formali sanabili con l’istituto qui in disamina, l’A.F. avrà più tempo per notificare i correlati atti di contestazione o atti di irrogazione sanzioni in quanto è prevista una proroga didue anni dei relativi termini di decadenza.

Ambito di applicazione

Per accedere alla sanatoria in esame sarà necessario individuare con attenzione la tipologia di sanzioni definibili. In prima battuta, è necessario accertarsi di essere in presenza di violazioni c.d. formali, ossia di irregolarità ed omissioni che non sono di ostacolo alle attività di controllo e per le quali, in assenza di mancato, tardivo o errato versamento di un tributo su cui riproporzionare la sanzione, sono comminate pene pecuniarie entro limiti minimi e massimi o in misura fissa. Esse devono essere distinte dalle:

  • violazioni c.d. sostanziali che hanno, invece, un diretto impatto sulla determinazione della base imponibile, sulla liquidazione e sul pagamento dell’imposte e che non possono essere sanate con la definizione agevolata in esame;
  • violazioni c.d. meramente formali che non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta o sul versamento del tributo e che non pregiudicano l’attività di controllo svolta dall’amministrazione finanziaria, per le quali il legislatore ha previsto una specifica clausola di non punibilità.

La distinzione tra violazioni formali e sostanziali non è sempre di immediata evidenza, motivo per cui l’A.F. ha redatto il seguente elenco, a titolo esemplificativo e non esaustivo, di violazioni formali sanabili con la nuova definizione agevolata: l’invio tardivo delle fatture elettroniche allo SdI, vale a dire oltre i termini ordinari, ma correttamente incluse nella liquidazione IVA di competenza con relativo versamento dell’imposta; i corrispettivi elettronici correttamente memorizzati e non inviati all’Agenzia delle entrate, ma correttamente inseriti in contabilità con relativa liquidazione dell’IVA dovuta; la presentazione di dichiarazioni annuali redatte non conformemente ai modelli approvati, ovvero l’errata indicazione o l’incompletezza dei dati relativi al contribuente; l’omessa o irregolare presentazione delle liquidazioni periodiche IVA purché l’imposta risulti assolta; l’omessa, irregolare o incompleta presentazione degli elenchi Intrastat; l’irregolare tenuta e conservazione delle scritture contabili, nel caso in cui la violazione non abbia prodotto effetti sull’imposta complessivamente dovuta; l’omessa restituzione dei questionari inviati dall’Agenzia o da altri soggetti autorizzati, ovvero la restituzione dei questionari con risposte incomplete o non veritiere; l’omissione, incompletezza o inesattezza delle dichiarazioni d’inizio, o variazione dell’attività; l’anticipazione di ricavi o la posticipazione di costi in violazione del principio di competenza, sempre che la violazione non incida sull’imposta complessivamente dovuta nell’anno; la tardiva trasmissione delle dichiarazioni da parte degli intermediari; le irregolarità od omissioni compiute dagli operatori finanziari; l’omessa o tardiva comunicazione dei dati al sistema tessera sanitaria; l’omessa comunicazione della proroga o della risoluzione del contratto di locazione soggetto a cedolare secca; la violazione degli obblighi inerenti alla documentazione e registrazione delle operazioni imponibili ai fini IVA, quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo; la violazione degli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione delle operazioni non imponibili, esenti o non soggette ad IVA, quando la violazione non rileva neppure ai fini della determinazione del reddito;  la detrazione dell’IVA, erroneamente applicata in misura superiore a quella effettivamente dovuta a causa di un errore di aliquota e, comunque, assolta dal cedente o prestatore, in assenza di frode.

Di contro, non si potrà utilizzare la sanatoria de qua:

  • per le violazioni sostanziali;
  • per le violazioni formali afferenti ad ambiti impositivi diversi dalle imposte dirette, IVA ed IRAP;
  • per gli atti di contestazione o irrogazione delle sanzioni emessi nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria (voluntary disclosure);
  • per consentire l’emersione di attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato;
  • per le violazioni formali già contestate in atti divenuti definitivi alla data di entrata in vigore della legge di bilancio 2023 (1° gennaio 2023).

Inoltre, nel Provvedimento n. 0027629 del 30.01.2023 l’A.F. ha precisato anche che:

  • non rientra nell’ambito di applicazione della regolarizzazione l’omessa presentazione delle dichiarazioni in materia di imposte sui redditi, IRAP o IVA, in quanto l’omissione rileva ai fini della determinazione della base imponibile anche qualora non dovesse risultare un’imposta dovuta;
  • in ragione del comportamento antigiuridico consistente nella deduzione di costi o spese sostenuti in relazione a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non rientra altresì nell’ambito di applicazione della regolarizzazione la violazione punita con la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare di tali componenti negativi indeducibili indicati nella dichiarazione dei redditi.

Ravvedimento sui corrispettivi meno caro grazie alle lettere di compliance

In questi giorni stanno giungendo ai contribuenti le lettere di compliance emesse sulla base dell’incrocio dei dati con le comunicazioni ex art. 22 comma 5 del DL 124/2019. L’Erario, grazie a ciò, conosce l’ammontare degli incassi telematici giornalieri e li può confrontare con i corrispettivi telematici (si veda il provv. Agenzia delle Entrate 3 ottobre 2023 n. 352652).

Dalle lettere di compliance emergono indicazioni molto utili per il ravvedimento operoso:
– implicitamente si specifica che il contribuente può ravvedersi ai sensi dell’art. 13 del DLgs. 472/97, salvo abbia ricevuto un verbale entro il 31 ottobre 2023, nel qual caso opera l’art. 4 del DL 131/2023;
– ai fini del computo della sanzione sull’omessa/infedele trasmissione telematica dei corrispettivi, rimane il minimo di 500 euro per ogni violazione;
– non è necessario trasmettere ora i corrispettivi omessi o trasmessi in modo infedele (cosa che sarebbe comunque difficile da attuare);
– bisogna pagare anche la sanzione fissa di 500 euro ridotta per la infedele comunicazione della liquidazione periodica;
– la sanzione dell’art. 5 comma 4 da infedele dichiarazione IVA assorbe quella sui versamenti.

Quest’ultimo è il chiarimento più importante, viene confermato quanto parte della dottrina aveva già desunto dalle risposte dell’Agenzia delle Entrate nella videoconferenza del 15 giugno 2022, ovvero la “camaleontica” interpretazione secondo cui ad assorbire la sanzione sui versamenti non è la omessa/infedele fatturazione (lo stesso dicasi per la trasmissione telematica dei corrispettivi), ma la dichiarazione infedele.
Almeno, così sembra dalle note alle lettere, che, quando parlano dell’assorbimento, richiamano l’art. 5 comma 4 del DLgs. 471/97 e non anche l’art. 6 comma 2-bis del DLgs. 471/97.

Sembra pertanto che:
– se la violazione riguarda l’anno 2022, occorra pagare la sanzione del 90% ridotta a 1/7 sui corrispettivi (art. 6 comma 2-bis) e una sanzione per dichiarazione infedele del 90% ridotta a 1/8 (art. 5 comma 4), non anche la sanzione da omesso versamento dell’IVA periodica;
– se la violazione riguarda l’anno 2023, occorra pagare la sanzione del 90% ridotta a 1/8 sui corrispettivi (art. 6 comma 2-bis) e anche la sanzione da omesso versamento dell’IVA periodica (del 30% o del 15% ridotta a seconda di quando ci si ravvede).

La violazione sui corrispettivi, ben più grave, si pone a monte dei versamenti e non può che assorbirli. Le sanzioni sui corrispettivi, sulle fatture e sull’infedele dichiarazione puniscono condotte che nulla hanno a che vedere con i versamenti. L’art. 13 del DLgs. 471/97 entra in gioco solo quando i corrispettivi vengono trasmessi ma l’IVA non viene poi pagata.
Appare importante la specificazione inerente al fatto che il ravvedimento avviene ai sensi dell’art. 13 del DLgs. 472/97, salvo ci sia un verbale entro il 31 ottobre 2023, caso in cui ci si ravvede ex DL 131/2023. Onde non cadere in errore è bene distinguere gli scenari.

Se c’è un verbale, il ravvedimento è inibito per le violazioni in tema di infedele/omessa trasmissione dei corrispettivi, e questo lo dice l’art. 13 comma 1 lett. b-quater) del DLgs. 472/97. Ecco che il legislatore è “corso ai ripari” ammettendo il ravvedimento, alla presenza di tre condizioni:
– deve trattarsi di violazioni commesse dal 1° gennaio 2022 al 30 giugno 2023;
– il verbale deve essere stato consegnato/notificato entro il 31 ottobre 2023;
– il ravvedimento deve intervenire entro il 15 dicembre 2023.

Se non c’è constatazione della violazione, il ravvedimento può avvenire secondo le modalità ordinarie, poco importa che la violazione sia successiva al 30 giugno 2023 o antecedente al 1° gennaio 2022. Nemmeno serve che ci si ravveda entro il 15 dicembre.
Il verbale consegnato/notificato dal 1° novembre 2023 in poi continua ad ostare al ravvedimento; nello stesso tempo, l’eventuale notifica dell’atto di contestazione inibisce il ravvedimento in ogni caso.

Se c’è il PVC la riduzione è a 1/5 del minimo

Sebbene nelle lettere non se ne parli, il ravvedimento può sì avvenire se c’è stato un verbale consegnato entro il 31 ottobre 2023, ma la sanzione dovrà, per ogni violazione, essere ridotta a 1/5 del minimo e non a 1/7 o 1/8.
Volendo essere precisi, se il verbale riguarda la sola violazione sui corrispettivi, questa (art. 6 comma 2-bis) deve essere ridotta a 1/5, mentre la dichiarazione infedele (art. 5 comma 4) potrebbe continuare a beneficiare della riduzione a 1/8.
Bisogna fare attenzione alla dichiarazione dei redditi: laddove l’errore fosse ivi recepito, bisognerebbe ravvedere anche il modello REDDITI infedele.

Le lettere non menzionano il ravvedimento sul saldo imposte sui redditi 2022 e sul primo acconto 2023, che andrebbero tuttavia ravveduti (in caso contrario, il contribuente verrebbe raggiunto da un avviso bonario).