Salvo lo smart working anche nel regime 2024 degli impatriati

Il nuovo regime degli impatriati recato dall’art. 5 del DLgs. 209/2023 mantiene, pur se entro alcuni limiti, la possibilità di beneficiare dell’agevolazione se l’attività lavorativa svolta al rientro, anche in smart working, in Italia è in continuità con quella prestata all’estero.

In particolare, se il lavoratore presta l’attività lavorativa in Italia in favore dello stesso soggetto presso il quale è stato impiegato all’estero prima del trasferimento, oppure in favore di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo, il requisito minimo di permanenza all’estero (ordinariamente disposto in tre periodi di imposta) è innalzato a:
– sei periodi d’imposta, se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;
– sette periodi d’imposta, se il lavoratore, prima del suo trasferimento all’estero, è stato impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo.
In aggiunta, come nelle precedenti formulazioni, l’attività lavorativa deve essere prestata per la maggior parte del periodo d’imposta in Italia.

Sono stati, quindi, superati i problemi legati alla formulazione dello schema di DLgs. approvato in via preliminare (Atto Governo n. 90), la quale richiedeva che l’attività lavorativa fosse svolta in Italia in virtù di un nuovo rapporto di lavoro con un soggetto diverso da quello presso il quale il lavoratore era impiegato all’estero.
Nel nuovo contesto normativo è possibile individuare alcune situazioni distinte, per quanto concerne la prestazione lavorativa da remoto.

Se il lavoratore si trasferisce in Italia per lavorare, da remoto, in favore di un datore di lavoro diverso da quello per cui prestava attività lavorativa all’estero e non appartenente al medesimo gruppo del datore estero, il beneficio spetta se la persona è stata residente all’estero per almeno tre periodi di imposta. Tale situazione è parificata a quella della prestazione in presenza presso il nuovo datore di lavoro, fermo restando che, anche in presenza, il periodo di permanenza triennale è subordinato alla condizione di novità rispetto ai precedenti rapporti di lavoro.
Lo stesso principio dovrebbe valere, a una prima analisi, se il datore di lavoro italiano “di partenza” e “di arrivo” coincidono (ad esempio, se la persona lavorava in Italia alle dipendenze dell’impresa A, si trasferisce all’estero per quattro anni alle dipendenze dell’impresa B – indipendente da A – e torna in Italia per lavorare per A), sempreché non vi siano pregressi accordi per il rientro.

Invece, nel caso in cui un cittadino estero, mai impiegato in Italia, si trasferisca in Italia continuando a svolgere attività lavorativa in smart working alle dipendenze del medesimo datore di lavoro estero, l’accesso all’agevolazione è condizionato alla permanenza estera pregressa per sei periodi di imposta.

Sempre nella situazione di smart working alle dipendenze del medesimo datore estero, il periodo di osservazione aumenta a sette periodi se, diversamente dal primo caso, si tratta di una persona che abbia già lavorato in precedenza in Italia e tale attività sia stata effettuata in favore di un soggetto appartenente allo stesso gruppo del datore di lavoro estero.

Nessuna regola ad hoc per i lavoratori autonomi

Non si comprende invece quale sia il trattamento da riservare, nelle sopradescritte situazioni, ai lavoratori autonomi, posto che la norma sembra riferirsi ai soli lavoratori “impiegati” presso un datore di lavoro, e quindi ai soli lavoratori dipendenti.

Un’interpretazione letterale porterebbe ad ammetterebbe al beneficio i lavoratori autonomi che possano dimostrare la sola residenza estera triennale.
Un approccio più prudenziale porterebbe invece a considerare il termine “impiegati” come utilizzato dalla norma in senso atecnico, con il risultato di ricomprendere nelle limitazioni anche i lavoratori autonomi; in tal senso, le situazioni potenzialmente oggetto di “osservazione” sono le ipotesi di mono-committenza (es. autonomo che fattura il 100% delle prestazioni alla società USA C e che, impatriato in Italia, continua a fatturare il 100% delle prestazioni alla società USA C).

Ragionando per paradossi, nessun rischio, per contro, pare sussistere nel caso in cui il professionista emetta, al rientro, una sola fattura nei confronti del medesimo committente estero: c’è sì, infatti, un rapporto con il vecchio committente, ma risulta difficile assimilarlo a un “impiego”.

Si potrebbe, in situazioni intermedie, ragionare in termini di prevalenza, ma è chiaro che si tratta di “scorciatoie” che mettono in evidenza la scarsa coerenza della nuova norma con il mondo del lavoro autonomo, e che potrebbero portare all’esclusione degli esercenti arti e professioni dalle limitazioni in commento.

Per gli impatriati, torna la detassazione al 50% solo per i lavoratori qualificati

Lo schema di DLgs. di attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale, approvato dal Governo in via preliminare il 16 ottobre, revisiona in modo dirompente l’agevolazione per i lavoratori impatriati.

Di fatto, lo schema dispone un ritorno al passato del beneficio che, dal 2024, riguarderà i soli lavoratori in possesso dei requisiti di elevata qualificazione e specializzazione, i quali potranno godere della detassazione nella misura del 50% se il reddito rispetta un determinato limite.
Rimane invariata la detassazione per i docenti e i ricercatori (art. 44 del DL 78/2010), mentre non risulta chiaro, a una prima lettura, come il regime opererà nei confronti degli sportivi professionisti.

L’intervento tende ad allineare la normativa a quanto previsto dagli altri Stati europei, ponendo requisiti più stringenti.
Più nel dettaglio, l’art. 7 della bozza di DLgs. dispone che il nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori impatriati riguardi i redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia.
Si tratta di una prima rilevante novità in quanto, ove la formulazione venisse confermata, rimarrebbero esclusi i redditi di impresa percepiti dall’imprenditore individuale, i quali rientrano invece nella versione dell’agevolazione attualmente vigente.

Altra significativa novità è l’introduzione di un limite di reddito agevolato, pari a 600.000 euro.
La nuova misura di detassazione è pari al 50% del reddito (non più quindi pari al 70%) e, diversamente da quanto a oggi previsto, non è stabilita alcuna riduzione ulteriore per i trasferimenti di residenza nel Sud Italia (in tale ipotesi la detassazione è pari al 90%).

Venendo ai requisiti di carattere soggettivo, va rilevato come la norma torni a interessare i soli soggetti in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti dal DLgs. 28 giugno 2012 n. 108 e dal DLgs. 9 novembre 2007 n. 206. In altre parole, come nella versione dell’agevolazione vigente fino al 29 aprile 2019, la fruizione del beneficio è subordinata alle seguenti condizioni:
– conseguimento di un titolo di istruzione superiore rilasciato da autorità competenti nel Paese dove è stato conseguito che attesti il completamento di un percorso di istruzione superiore di durata almeno triennale e della relativa qualifica professionale superiore, rientrante nei livelli 1 (legislatori, imprenditori e alta dirigenza), 2 (professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione) e 3 (professioni tecniche) della classificazione ISTAT delle professioni CP 2011, attestata dal Paese di provenienza e riconosciuta in Italia;
– possesso dei requisiti previsti dal DLgs. 9 novembre 2007 n. 206, limitatamente all’esercizio delle professioni ivi regolamentate.

Cambiano anche i requisiti legati alla residenza estera pregressa e al mantenimento della residenza in Italia, pena il recupero dei benefici fruiti con le relative sanzioni e interessi.
Per fruire del nuovo regime, infatti, si richiede che i lavoratori siano stati residenti all’estero nei tre periodi di imposta precedenti il trasferimento in Italia (in luogo dei due periodi richiesti dall’attuale regime) e che gli stessi si impegnino a risiedere in Italia per almeno cinque anni (in luogo dei due anni previsti dall’attuale regime).

Discontinuità rispetto all’attività ante rientro

Di particolare rilevanza sono poi i requisiti legati all’attività lavorativa da svolgere in Italia per la maggior parte del periodo di imposta. Il nuovo regime richiede, al riguardo, che la stessa sia svolta in virtù di un “nuovo” rapporto di lavoro con un soggetto “diverso” da quello presso il quale il lavoratore era impiegato all’estero prima del trasferimento nonché da quelli appartenenti al suo stesso gruppo.

Anche in questo caso, si determina una restrizione dell’ambito applicativo del beneficio, con conseguente superamento dell’interpretazione, fornita in virtù dell’ampia formulazione dell’attuale art. 16 del DLgs. 147/2015, per cui, al di fuori dell’ipotesi del distacco, l’agevolazione non è subordinata al rispetto di particolari requisiti di novità del rapporto di lavoro, potendone fruire anche la persona che, rientrata in Italia, continui a svolgere la medesima attività per il datore di lavoro estero in modalità smart working.

La nuova norma dispone infine l’abrogazione, dal 1° gennaio 2024, dell’art. 16 del DLgs. 147/2015, nonché dell’art. 5 commi 2-bis, 2-ter e 2-quater del DL 34/2019. In altre parole, è disposta l’abrogazione della disciplina degli impatriati a oggi operativa (ivi inclusa la facoltà di prolungamento della stessa).
Le stesse disposizioni, però, continuano a trovare applicazione nei confronti dei soggetti che hanno trasferito la residenza fiscale in Italia entro il 2023.

Trasferimenti fino al 2023Trasferimenti dal 2024
Redditi agevolati – EntitàNessun limiteLimite massimo di 600.000 euro
Redditi agevolati – NaturaReddito di lavoro dipendente e assimilato, reddito di lavoro autonomo, reddito d’impresa dell’imprenditore individualeReddito i lavoro dipendente e assimilato, reddito di lavoro autonomo
Misura dell’agevolazioneReddito imponibile al 30%
Reddito imponibile al 10% per i trasferimenti al sud Italia
Reddito imponibile al 50% per gli sportivi professionisti
Reddito imponibile al 50%
Durata dell’agevolazione5 periodi di imposta
(facoltà di proroga per ulteriori 5 periodi)
5 periodi di imposta 
(non sono previste proroghe)
Residenza estera pregressa2 periodi di imposta3 periodi di imposta
Impegno a mantenere la residenza in Italia2 anni5 anni
Attività lavorativa svolta prevalentemente in ItaliaNon necessaria la discontinuità con l’attività svolta ante trasferimento (con l’eccezione dell’ipotesi di distacco)Rapporto di lavoro nuovo con soggetto diverso da quello ante trasferimento
Qualificazione o specializzazioneNessuna Possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione

Proroga regime impatriati: natura perentoria del termine di versamento

Con le risposte a interpello nn. 371 e 372 del 12/07/2022, l’Agenzia delle Entrate ha evidenziato la natura perentoria del termine per il versamento dell’onere una tantum ai fini del perfezionamento dell’opzione per estendere la durata del regime dei c.d. vecchi impatriati, prevista dall’art. 5 comma 2-bis del DL 34/2019.
La proroga riguarda il beneficio per un ulteriore quinquennio in presenza di requisiti legati alla presenza di un figlio minorenne o alla proprietà di un’unità immobiliare residenziale, concessa, in base al provv. Agenzia delle Entrate 3 marzo 2021 n. 60353, ai soggetti:
-Che siano stati iscritti all’AIRE o, alternativamente, siano cittadini di Stati membri dell’Ue (ovvero i cittadini inglesi, in base a quanto chiarito dalla risposta a interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 172/2022);
-Che abbiano trasferito la residenza prima del 30 aprile 2019;
-Che siano beneficiari, alla data del 31 dicembre 2019, delle agevolazioni per gli impatriati.
L’opzione ex art. 5 comma 2-bis del DL 34/2019 è esercitata mediante versamento dell’onere del 10% o del 5% (a seconda delle condizioni) dei redditi “rilevanti” di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia re relativi al periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione; nel caso di lavoratori subordinati, è altresì prevista la presentazione al datore di lavoro di un’apposita richiesta scritta.


Entrambi gli adempimenti devono essere effettuati, a regime, entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di conclusione del primo periodo di fruizione dell’agevolazione; i soggetti per cui tale periodo si è concluso il 31 dicembre 2020, erano tenuti a effettuare il versamento entro il 30 agosto 2021.


Nel caso di specie, delle persone fisiche che, rientrate in Italia prima del 2020, hanno fruito del regime speciale dei c.d. vecchi impatriati di cui all’art. 16 del DLgs. 147/2015 fino al 31 dicembre 2020, non hano però effettuato il versamento in parola entro il termine transitorio del 30 agosto 2021.
In entrambi i casi la questione attiene dunque la possibilità di accedere all’opzione per l’estensione temporale del beneficio effettuando il versamento tardivo dell’imposta sostitutiva.
L’Agenzia evidenzia come, stando alle richiamate disposizioni, l’opzione per la proroga del regime speciale è esercitata mediante versamento dell’imposta di ingresso nei termini previsti.


Ciò premesso, con le risposte nn. 371 e 372, l’Agenzia ritiene che tale mancato adempimento precluda l’applicazione del beneficio in commento, non essendo ammesso il ricorso all’istituto del ravvedimento operoso.


In altre parole, ad avviso dell’Agenzia, i soggetti che, avendo fruito del regime fino al 31 dicembre 2020, non hanno provveduto ad effettuare il versamento dovuto entro il termine del 30 agosto 2021 non possono accedere all’estensione temporale del regime per l’ulteriore quinquennio.