Guadagni derivanti dall’acquisto di bonus fiscali esclusi dal reddito

L’Agenzia delle Entrate, nella giornata di ieri, ha ufficializzato la risposta con la quale ha sancito l’irrilevanza fiscale del differenziale tra le somme impiegate per acquisire il credito d’imposta derivante da bonus edilizi e il valore nominale degli stessi che verrà utilizzato in compensazione.
La questione ha tenuto banco per diverso tempo, dal momento che, come evidenzia la stessa Agenzia, il legislatore non ha disciplinato la materia, rinviando implicitamente ai principi generali del TUIR.

La risposta scaturisce da un’istanza di interpello presentata da uno studio associato e contiene diversi spunti d’interesse, a partire dall’affermazione in base alla quale l’assimilazione degli studi associati alle società semplici comporta che il reddito fiscale di tali soggetti sia costituito dalla sommatoria delle singole categorie di reddito indicate nel medesimo art. 6 del TUIR, identificate in ragione della loro fonte di produzione.

Da ciò deriva, secondo l’Agenzia delle Entrate, la necessità di verificare se il provento in esame rientri tra i redditi di capitale ovvero tra i redditi di lavoro autonomo ovvero tra i redditi diversi.
Occorre tuttavia considerare che l’esercizio in forma associata di arti e professioni costituisce ai sensi dell’art. 53 comma 1 del TUIR reddito di lavoro autonomo, per cui l’impostazione dell’Agenzia appare plausibile solo nella misura in cui l’investimento in questione non sia connesso all’attività professionale.

Se, nel caso di specie, lo studio avesse deciso di investire la liquidità generata dall’attività professionale, ci si sarebbe potuti limitare all’analisi dell’art. 53 del TUIR, concludendo, come ha concluso l’Agenzia, che il provento originato dall’acquisto dei crediti non può essere tassato in quanto la nozione di cui all’art. 54 comma 1-quater del TUIR di elementi immateriali comunque riferibili all’attività professionale, pur essendo ampia, non può includere i differenziali in questione.

Date le premesse, però, l’Agenzia si spinge ad analizzare la questione anche sotto il profilo della disciplina dei redditi di capitale e dei redditi diversi, arrivando a conclusioni che dovrebbero assumere portata generale.

Con riferimento ai redditi di capitale, l’art. 44 comma 1 lett. h) del TUIR prevede che rientrino tra le fattispecie imponibili “gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto”.

Come affermato in passato dalla stessa Amministrazione finanziaria, detta disposizione ha una funzione di chiusura; pertanto “per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito”.
Rientrano in tale previsione:
– i proventi che sono giuridicamente qualificabili come frutti civili ai sensi dell’art. 820 c.c., vale a dire i proventi che si conseguono come corrispettivo del godimento che un terzo abbia di un capitale,
– tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che, pur se non riconducibile tra quelli precedentemente menzionati, presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale.
La richiamata lett. h) qualifica quindi come reddito di capitale ogni rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale, intendendosi per tale la semplice concessione temporanea alla controparte della disponibilità del capitale.

Sulla base di tale premesse, la risposta n. 472/2023 conclude però che “l’acquisto del credito d’imposta dietro corrispettivo non costituisce impiego di capitale”. Forse su questo punto l’Agenzia avrebbe potuto soffermarsi maggiormente, esplicitando un percorso argomentativo che potrebbe tornare utile in altre occasioni.
In effetti, che il capitale venga restituito mediante compensazione tributaria ovvero che ci sia un’alea in capo al cessionario relativa al plafond di tributi da compensare potrebbe supportare la ricostruzione proposta dall’Agenzia.

Anche per i redditi diversi, la risposta di ieri esclude che si possa applicare l’art. 67 comma 1 lett. c-quinquiesdel TUIR, norma in base alla quale sono assoggettati a tassazione le plusvalenze ed altri proventi realizzati mediante cessione a titolo oneroso ovvero chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale e mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di crediti pecuniari o di strumenti finanziari, nonché quelli realizzati mediante rapporti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.

Contributo a fondo perduto per interventi edilizi 2023 agevolabili al 90% in misura piena

Con il Provv. del 24/11/2023 l’Agenzia delle Entrate ha fissato al 100% il contributo a fondo perduto per interventi edilizi 2023 agevolabili al 90% ex art. 9, c. 3, DL 176/2022.

Si ricorda che con il DM 31 luglio 2023 sono stati definiti i criteri e le modalità di erogazione di tale agevolazione, mentre con il provvedimento 22 settembre 2023 n. 332648 l’Agenzia delle Entrate ha approvato il modello di istanza e le relative istruzioni per richiedere il contributo.

L’agevolazione riguarda le spese sostenute da persone fisiche (al di fuori dell’esercizio di imprese, arti o professioni) per gli interventi agevolati con il superbonus al 90%, effettuati:
• su edifici unifamiliari o su singole unità immobiliari “indipendenti e autonome” site in edifici plurifamiliari;
• su parti comuni di edifici condominiali o sulle singole unità immobiliari site all’interno dei predetti condomìni (nonché, si ritiene, sulle parti comuni di edifici interamente posseduti – anche in comproprietà – composti da due a quattro unità immobiliari, in virtù del richiamo al primo periodo dell’art. 119 comma 8-bis del DL 34/2020 contenuto nell’art. 9 comma 3 del DL 176/2022.

Per poter beneficiare dell’agevolazione, era necessario che il contribuente:
• avesse un “reddito di riferimento” non superiore a 15.000 euro (da determinare ai sensi dell’art. 119 comma 8-bis.1 del DL 34/2020);
• alla data di inizio lavori risultasse titolare (almeno pro quota) di un diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento sull’unità immobiliare oggetto dell’intervento (o, per gli interventi effettuati dai condomìni, sull’unità immobiliare facente parte del condominio);
• alla data di avvio dei lavori o, al più tardi, al termine degli stessi, avesse adibito ad abitazione principale la predetta unità immobiliare, ai sensi dell’art. 10 comma 3-bis del TUIR.

Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 31 luglio 2023, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 25 agosto 2023, sono stati individuati i soggetti beneficiari del contributo, le spese ammesse al contributo, nonché le modalità di erogazione dello stesso.

Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia prot. n. 332648 del 22 settembre 2023 sono state definite le modalità di attuazione del contributo a fondo perduto di cui trattasi; in particolare, è stato previsto che
l’istanza poteva essere presentata dal 2 al 31 ottobre 2023.

Decorso il termine di presentazione delle istanze, l’Agenzia delle entrate procede a ripartire le risorse finanziarie stabilite dall’art. 9, c. 3,DL 176/2022 , sulla base degli importi dei contributi richiesti indicati nelle istanze validamente presentate.

In particolare:
• se il rapporto percentuale tra le predette risorse finanziarie e l’ammontare complessivo dei contributi richiesti è superiore al 100%, sarà erogato il 100% dell’importo richiesto nell’istanza;
• se il predetto rapporto percentuale è compreso tra il 10 e il 100%, il contributo da erogare sarà determinato applicando all’importo richiesto la percentuale risultante;
• se, infine, il rapporto percentuale tra l’ammontare delle risorse stanziate e l’ammontare complessivo dei contributi richiesti è inferiore al 10%, il contributo sarà determinato applicando all’importo richiesto la percentuale del 10%.
In tale ultimo caso il contributo sarà erogato, fino ad esaurimento delle risorse stanziate, sulla base dell’ordine cronologico delle date, indicate nelle istanze, nelle quali è stato effettuato il primo bonifico per il pagamento delle spese oggetto del contributo a partire dal 1° gennaio 2023. In presenza di istanze contenenti la medesima data di effettuazione del primo bonifico e di insufficienza delle risorse finanziarie necessarie per l’erogazione di tutti i contributi richiesti con le stesse, si procederà al pagamento sulla base dell’ordine cronologico di presentazione delle suddette istanze, fino ad esaurimento delle risorse finanziarie. Il mancato pagamento delle istanze per esaurimento delle risorse finanziarie disponibili comporterà lo scarto delle stesse.

Bonus investimenti in beni immateriali 4.0 ridotto dal 2024

Per gli investimenti in beni immateriali “4.0”, nel 2024 la misura del credito d’imposta ex L. 178/2020 scende dall’attuale 20% al 15%. Entro fine anno occorre quindi effettuare le necessarie valutazioni di convenienza.

In relazione ai beni immateriali “4.0”, ai sensi dell’art. 1 comma 1058 della L. 178/2020, come modificato dall’art. 1 comma 44 lett. c) della L. 234/2021, “Alle imprese che effettuano investimenti aventi ad oggetto beni compresi nell’allegato B annesso alla legge 11 dicembre 2016, n. 232, a decorrere dal 16 novembre 2020 e fino al 31 dicembre 2023, ovvero entro il 30 giugno 2024, a condizione che entro la data del 31 dicembre 2023 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20 per cento del costo di acquisizione, il credito d’imposta è riconosciuto nella misura del 20 per cento del costo, nel limite massimo annuale di costi ammissibili pari a 1 milione di euro”.

L’art. 21 comma 1 del DL 50/2022 convertito ha inoltre stabilito che “per gli investimenti aventi ad oggetto beni compresi nell’allegato B annesso alla legge 11 dicembre 2016, n. 232, effettuati a decorrere dal 1° gennaio 2022 e fino al 31 dicembre 2022, ovvero entro il 30 giugno 2023, a condizione che entro la data del 31 dicembre 2022 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20 per cento del costo di acquisizione, la misura del credito d’imposta […] è elevata al 50 per cento”.

Per effetto del combinato disposto delle citate disposizioni, il credito d’imposta in esame era quindi pari al 50% soltanto con riferimento agli investimenti effettuati nel 2022 (o nel termine “lungo” del 30 giugno 2023), restando ferma l’aliquota del 20% per gli investimenti effettuati nel restante periodo sopra citato.

L’agevolazione al 20%, oltre che per gli investimenti 2023, è riconosciuta anche nel caso in cui gli investimenti in beni immateriali “4.0” siano effettuati nel termine “lungo” del 30 giugno 2024, qualora entro il 31 dicembre 2023 sia effettuata la c.d. “prenotazione”, con accettazione dell’ordine da parte del venditore e versamento dell’acconto minimo del 20%.

Tale indicazione appare particolarmente rilevante, considerando che per gli investimenti in beni immateriali “4.0” effettuati (senza “prenotazione”) dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2024, il credito d’imposta è invece riconosciuto nella misura del 15% del costo, sempre nel limite massimo di costi ammissibili pari a un milione di euro (comma 1058-bis dell’art. 1 della L. 178/2020).
La medesima misura del 15% è inoltre prevista qualora i suddetti investimenti siano effettuati entro il termine “lungo” del 30 giugno 2025 a condizione che entro il 31 dicembre 2024 sia stata effettuata la c.d. “prenotazione”.
Nel 2025 la misura di tale agevolazione scenderà poi ulteriormente, essendo fissata in misura pari al 10%.

La tabella in calce all’articolo riepiloga la variazione della misura dell’agevolazione per i beni immateriali “4.0”.Resta ferma la misura per i beni materiali 4.0

Nessuna modifica, invece, per gli investimenti in beni materiali “4.0”. In tal caso la misura dell’agevolazione resta infatti la medesima rispetto a quella già operativa per il 2023.
L’art. 1 comma 1057-bis della L. 178/2020 dispone infatti che, alle imprese che effettuano investimenti in beni strumentali nuovi indicati nell’allegato A alla L. 232/2016, a decorrere dal 1° gennaio 2023 e fino al 31 dicembre 2025 (ovvero entro il 30 giugno 2026, a condizione che entro la data del 31 dicembre 2025 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20% del costo di acquisizione), il credito d’imposta sia riconosciuto nella misura del:
– 20%, per la quota di investimenti fino a 2,5 milioni di euro;
– 10%, per la quota di investimenti superiori a 2,5 milioni di euro e fino a 10 milioni di euro;
– 5%, per la quota di investimenti superiori a 10 milioni di euro e fino al limite massimo di costi complessivamente ammissibili pari a 20 milioni di euro;
– 5% per “investimenti inclusi nel PNRR diretti alla realizzazione di obiettivi di transizione ecologica”, che dovrebbero essere individuati con DM, tra 10 e 50 milioni di euro (art. 10 del DL 4/2022).

In merito alle agevolazioni per le imprese che effettuano investimenti “5.0”, il Viceministro Leo, nella conferenza stampa dello scorso 16 ottobre, ha affermato che il Ministro Urso starebbe lavorando a un provvedimento, del quale tuttavia al momento non si hanno notizie.

Da ultimo, si ricorda che, allo stato attuale, non è comunque prevista alcuna agevolazione per i beni strumentali “ordinari”.

Variazione della misura dell’agevolazione per i beni immateriali “4.0”
Investimenti1° gennaio 2023-31 dicembre 2023
(o termine “lungo” 30 giugno 2024)
1° gennaio 2024-31 dicembre 2024 (o termine “lungo” 30 giugno 2025)1° gennaio 2025-31 dicembre 2025 (o termine “lungo” 30 giugno 2026)
Beni immateriali “4.0” (Allegato B alla L. 232/2016)Credito d’imposta 20%.
Costi ammissibili max un milione di euro annuale.
Credito d’imposta 15%.
Costi ammissibili max un milione di euro.
Credito d’imposta 10%.
Costi ammissibili max un milione di euro.

Per l’impresa, omaggi natalizi interamente deducibili sotto i 50 euro

In occasione dell’avvicinarsi delle festività natalizie, è frequente la concessione di omaggi da parte delle imprese. Fermo restando che la disciplina degli omaggi non è stata oggetto di particolari modifiche rispetto allo scorso anno, si riepilogano i tratti salienti della stessa ai fini delle imposte sui redditi.

Con riferimento alle imprese, gli oneri sostenuti per omaggi distribuiti ai clienti sono deducibili interamente, ai sensi dell’art. 108 comma 2 del TUIR, se il valore unitario dei beni in omaggio destinati ad uno stesso soggetto non supera 50 euro.
Diversamente, gli oneri sostenuti per omaggi sono considerati spese di rappresentanza e, in quanto tali, sono deducibili nell’esercizio di sostenimento nel rispetto dei limiti di inerenza e congruità previsti (1,5% dei ricavi e proventi della gestione caratteristica, fino a 10 milioni di euro; 0,6% dei suddetti ricavi, per la parte compresa tra 10 e 50 milioni di euro; 0,4% dei suddetti ricavi, per la parte eccedente 50 milioni).

Al fine di determinare il “valore unitario” dell’omaggio consegnato, occorre fare riferimento al regalo nel suo complesso e non ai singoli beni che lo compongono. Ad esempio, un cesto natalizio composto di tre diversi beni che hanno un valore di 20 euro ciascuno, dovrà essere considerato come un unico omaggio dal valore complessivo di 60 euro e, come tale, sarà soggetto, ai fini della deducibilità, ai suddetti limiti previsti per le spese di rappresentanza “generali” (circ. Agenzia delle Entrate n. 34/2009, § 5.4).

Nel caso in cui l’omaggio sia rappresentato da beni “autoprodotti”, rileva il valore di mercato dell’omaggio, determinato ai sensi dell’art. 9 del TUIR. Tale valore, tuttavia, rileva unicamente al fine di individuare le spese di rappresentanza da sottoporre al regime di deducibilità limitata; una volta qualificata la spesa come di rappresentanza (se, quindi, il valore di mercato risulta superiore a 50 euro), ai fini del calcolo del limite di deducibilità concorre invece, per intero, il costo di produzione effettivamente sostenuto dall’impresa, indipendentemente dal fatto che lo stesso sia inferiore o meno a 50 euro (ris. Agenzia delle Entrate n. 27/2014). Qualora il valore normale dell’omaggio autoprodotto sia inferiore o uguale a 50 euro, il costo effettivamente sostenuto per la produzione beneficia invece della deduzione integrale.

Ad esempio, nel caso in cui l’omaggio autoprodotto abbia un valore di mercato pari a 80 euro e un costo di produzione di 40 euro, l’omaggio costituisce una spesa di rappresentanza da sottoporre alla verifica del limite di deducibilità (valore di mercato pari a 80 euro, superiore quindi al limite di 50 euro), ma ai fini del calcolo del plafond di deducibilità rileva l’importo di 40 euro (costo di produzione effettivo).
Nel caso in cui, invece, l’omaggio autoprodotto abbia un valore di mercato pari a 40 euro e un costo di produzione pari a 30 euro, l’omaggio è interamente deducibile per 30 euro.

Si evidenzia, inoltre, che, poiché la norma fa espresso riferimento ai “beni distribuiti gratuitamente” di modico valore, la stessa non è riferibile alle spese relative a servizi (circ. n. 34/2009, § 5.4). Di conseguenza, le prestazioni gratuite di servizi sono deducibili dal reddito d’impresa soltanto ove rispettino i requisiti previsti per le spese di rappresentanza “generali”.

In relazione agli omaggi ai dipendenti e ai soggetti assimilati, se per l’impresa i relativi costi sostenuti sono deducibili dal reddito imponibile secondo le norme relative ai costi per le prestazioni di lavoro di cui all’art. 95 comma 1 del TUIR, in capo ai dipendenti i beni ricevuti sono generalmente oggetto di tassazione ai sensi dell’art. 51 comma 1 del TUIR.
Tuttavia, risultano non imponibili gli omaggi ricevuti che nel periodo d’imposta non superino, assieme all’ammontare degli altri fringe benefit, l’importo di 258,23 euro ai sensi dell’art. 51 comma 3 del TUIR, elevato per il 2023 a 3.000 euro per i soli dipendenti con figli fiscalmente a carico (art. 40 del DL 48/2023).
Sono considerati fringe benefit anche i buoni acquisto concessi dall’impresa ai dipendenti (art. 51 comma 3-bis del TUIR).

Deducibili anche le spese per le cene natalizie

Quanto alle spese sostenute per le cene natalizie con i dipendenti, malgrado non siano di rappresentanza, l’art. 100 comma 1 del TUIR stabilisce che le spese relative a servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di ricreazione o culto sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi.

Tale principio opera anche nell’ipotesi in cui detti servizi siano messi a disposizione dei dipendenti con il ricorso a strutture esterne all’azienda (ris. n. 34/2004), come, ad esempio, nel caso di un ristorante. Occorre, però, considerare anche l’art. 109 comma 5 del TUIR, in base al quale le spese per la somministrazione di alimenti e bevande sono deducibili nella misura del 75%.

CESSIONE DEI BONUS EDILIZI – REMISSIONE IN BONIS – ERRORI FORMALI

Come noto, l’opzione per lo sconto in fattura o cessione del credito per i “bonus edilizi” di cui all’art. 121, co. 2, DL n. 34/2020 (ristrutturazione edilizia, ecobonus, sismabonus, ecc., anche nella misura del 110% – Superbonus) deve essere comunicata all’Agenzia Entrate.
– esclusivamente in via telematica (direttamente o tramite intermediario abilitato)
– entro il 16 marzo dell’anno successivo a quello in cui sono state sostenute le spese che danno diritto alla detrazione.

Con riferimento alle spese
▪️ sostenute nel 2023 (nonché per le rate residue non fruire riferite alle spese sostenute in anni precedenti): la comunicazione dovrà essere effettuata entro il 16 marzo 2024
▪️ sostenute nel 2022 (nonché per le rate residue non fruite delle detrazioni riferite alle spese sostenute nel 2020 e nel 2021): il termine è stato differito al 31/03/2023 (art. 3, co.10-octies DL n. 198/2022).

In relazione a queste ultime, si analizzano le modalità di regolarizzazione
1) dell’eventuale mancata comunicazione entro il 31/03/2023
2) di eventuali errori commessi nell’ambito della comunicazione trasmessa tempestivamente.

OMESSA COMUNICAZIONE NEI TERMINI

Nel caso in cui il contribuente non abbia provveduto a comunicare l’esercizio dell’opzione per le spese sostenute nel 2022 (o per la cessione delle “rate residue”) entro il 31/03/2023 è necessario procedere
✓ con la remissione in bonis “ordinaria”
✓ oppure con la remissione in bonis “speciale”

REMISSIONE IN BONIS ORDINARIA

L’Agenzia delle Entrate (CM 33/2022) ha chiarito che rientrano nell’ambito dell’istituto della remissione in bonis (di cui all’art. 2, co. 1, DL 16/2012):
▪️ la tardiva comunicazione dell’opzione ex art. 121, DL 34/2020 per la cessione del credito/sconto in fattura dei bonus edilizi per le spese sostenute nell’anno e per la cessione “rate residue”
▪️ le comunicazioni che il contribuente intende reinviare dopo aver annullato l’accettazione di crediti derivanti da una precedente comunicazione errata.

L’istituto richiede che il contribuente:
a) abbia soddisfatto tutti i requisiti sostanziali per accedere al beneficio (dunque spetti la detrazione; non deve essere intervenuta alcuna attività di controllo in ordine alla spettanza della detrazione)
b) abbia tenuto un “comportamento coerente” con l’esercizio dell’opzione.

In relazione al comportamento concludente, l’Agenzia ha richiesto che l’opzione risulti:
in generale: da un accordo scritto tra le parti
per il solo sconto in fattura: è sufficiente la fattura elettronica avente data antecedente al termine per l’invio della comunicazione, che riporti lo sconto corrispondente alla detrazione spettante

REMISSIONE IN BONIS “SPECIALE”

L’art. 2-quinquies del DL n. 11/2023 (cd. “Decreto cessioni”) ha introdotto una deroga specifica a quanto precede, prevedendo che la remissione in bonis risulta esperibile:
▪️ anche ove il contratto di cessione non sia stato concluso alla data del 31/03/2023 (carenza del requisito del comportamento concludente)
▪️ purché la cessione sia eseguita a favore di cessionari “qualificati” (per quanto si tratti della “prima cessione”, in generale libera): banche, intermediari finanziari, società appartenente a un gruppo bancario o impresa di assicurazione.

CONCLUSIONE

In sostanza:
➜ laddove il contribuente non riesca a dimostrare (neppure tramite elementi indiziari) la preesistente stipula dell’accordo di cessione con il terzo: è opportuno che tenti di accedere alla remissione in bonis speciale con cessione a “soggetto qualificato” (ad esempio tentando la cessione verso Poste Spa, che hanno comunicato la disponibilità ad accettare cessioni fino al limite di €. 50.000)
➜ in caso contrario: si potrà direttamente procedere alla remissione in bonis ordinaria, comunicando la cessione a un cessionario “non qualificato”.

In entrambi i casi il contribuente dovrà procedere entro il termine ultimo del 30/11/2023, cioè entro il termine di presentazione “della prima dichiarazione dei redditi utile” (cioè della prima dichiarazione che si incrocia successivamente al 31 marzo 2023).

La remissione in bonis viene esperita tramite:
▪️ la comunicazione della cessione sulla apposita Piattaforma
▪️ il versamento tramite mod. F24 “Elide” di € 250 (non compensabile con eventuali crediti)
▪️ utilizzando il cod. tributo 8114 (RM 58/2022).

ERRORE NELLA COMUNICAZIONE DELL’OPZIONE

Qualora sia stato commesso un errore nella compilazione del modello inviato:
A) è possibile, entro il 5° giorno successivo all’invio
▪️ trasmettere una successiva comunicazione
▪️ interamente sostitutiva della precedente
B) trascorso il 5° giorno
▪️ non è più possibile trasmettere una comunicazione sostitutiva di quella errata
▪️ e il credito non ancora accettato può essere rifiutato dal cessionario o dal fornitore

INVIO NUOVA COMUNICAZIONE: il rifiuto del credito rimuove, di fatto, gli effetti della comunicazione errata e il cedente (beneficiario della detrazione) potrà
✓ trasmettere una nuova comunicazione corretta
✓ a favore dello stesso o di altro cessionario.
Tale nuova comunicazione, potrà essere trasmessa:
▪️ entro il termine ordinario (se non ancora scaduto)
▪️ ovvero, se scaduto il temine ordinario entro la prima dichiarazione redditi utile da presentarsi successivamente (c.d. remissione in bonis).

ERRORI FORMALI

Diverso il discorso quando il cessionario ha già accettato il credito oggetto della comunicazione di cessione e ci si accorge solo dopo che la comunicazione inviata dal cedente contiene errori. Al riguardo, l’Agenzia Entrate (CM 33/2022) ha fornito indicazioni diverse a seconda che trattasi di:
a) errori formali
b) errori sostanziali.

L’errore formale è quello che non comporta la modifica di elementi essenziali della detrazione spettante.
Si considerano formali gli errori relativi alle seguenti informazioni presenti nel modello di comunicazione:
➜ nel frontespizio:
✓ recapiti (e-mail e telefono)
✓ codice fiscale del rappresentante del beneficiario e relativo codice carica
✓ indicazione dell’eventuale presenza dell’amministratore nel campo “Condominio minimo”;
✓ codice identificativo dell’asseverazione presentata all’ENEA per gli interventi di riqualificazione energetica di tipo Superbonus
✓ codice identificativo dell’asseverazione per gli interventi di riduzione del rischio sismico e relativo codice fiscale del professionista
➜ nel quadro A:
✓ indicazione del semestre di riferimento, per le spese del 2020
✓ stato di avanzamento lavori (SAL) ed eventuale protocollo della comunicazione
➜ nel quadro B
✓ i dati catastali
➜ nel quadro D:
✓ data di esercizio dell’opzione
✓ tipologia del cessionario.

CORREZIONE: anche se gli errori formali non hanno rilevanza ai fini della spettanza della detrazione e l’opzione è considerata valida ai fini fiscali, è necessario che il cedente o chi altro ha inviato la comunicazione di cessione (ad esempio l’intermediario)
▪️ invii all’Agenzia delle entrate
▪️ una nota in cui si indicano i dati da correggere.
La nota deve essere
✓ sottoscritta digitalmente o con firma autografa (in caso di firma autografa deve essere allegata copia del documento di identità)
✓ inviata all’indirizzo PEC: annullamentoaccettazionecrediti@pec.agenziaentrate.it.

ERRORI SOSTANZIALI

Sono considerati errori sostanziali nella comunicazione di cessione del credito, invece, quelli che incidono su elementi essenziali della detrazione spettante e quindi del credito ceduto.
Sono errori di questo tipo, ad esempio:
▪️ l’errata indicazione del codice dell’intervento da cui dipende la percentuale di detrazione spettante e/o il limite di spesa
▪️ il codice fiscale del cedente.

CORREZIONE: ove il cessionario abbia già accettato il credito oggetto della comunicazione di cessione e ci si accorge solo dopo di aver commesso errori sostanziali nella comunicazione inviata dal cedente:
✓ è necessario trasmettere all’indirizzo PEC: annullamentoaccettazionecrediti@pec.agenziaentrate.it.
✓ l’apposito modello di annullamento allegato alla CM 33/2022 (
✓ sottoscritto digitalmente o con firma autografa dal cessionario e dal cedente (in caso di firma autografa deve essere allegata copia del documento di identità).

Va inserita la dicitura “Richiesta annullamento accettazione cessione credito Comunicazione prot. …”, da completare col numero di protocollo della Comunicazione errata da cui derivano i crediti e il relativo progressivo, indicati nell’istanza di annullamento allegata al messaggio (FAQ 27/12/2022).

NUOVA COMUNICAZIONE CORRETTA: una volta eseguita l’operazione tecnica di annullamento dell’accettazione, ne viene data informazione agli interessati. A questo punto, è possibile inviare la nuova comunicazione cessione del credito corretta. L’invio è
▪️ entro i termini ordinari previsti in base all’anno di sostenimento della spesa cui è riferita la detrazione
▪️ ovvero entro i termini della remissione in bonis.

Manovra 2024: le novità in materia di lavoro e previdenza

Con l’arrivo dell’autunno, inizia il lavoro di definizione della manovra economica da parte del Governo per l’anno che verrà. Lavoro complesso e pieno di ostacoli specialmente nell’attuale situazione in cui le pubbliche casse sono quasi vuote.

Lo schema della legge di Bilancio 2024 è stato approvato dal Consiglio dei ministri il 16 ottobre 2023. Il testo poi con il passare dei giorni, i lavori delle commissioni e le “incursioni” da parte di gruppi di interesse, prenderà la sua forma definitiva per essere auspicabilmente approvato nei tempi previsti per evitare ogni ipotesi di esercizio provvisorio. In materia di lavoro e previdenza non bisogna attendersi novità travolgenti, ci troviamo davanti a una ricognizione di strumenti già esistenti ivi compreso il sistema pensionistico che rimbalza tra promesse elettorali e crudezza dei numeri rimandando in avanti una sua compiutezza definitiva.

In questo speciale sulla Legge di Bilancio 2024 procederemo a un monitoraggio dei lavori parlamentari e alla conseguente analisi delle norme che incideranno sul mondo del lavoro e della previdenza.

Cuneo fiscale

Le anticipazioni delle linee della manovra economica avevano indicato come le scarse risorse disponibili dovessero essere indirizzate verso le fasce con minor reddito disponibile e in sostegno alla genitorialità e alla famiglia. In questo solco va letta la disposizione che prevede la proroga, non la definitiva stabilizzazione, del taglio delle ritenute contributive a carico dei lavoratori dipendenti. Per il 2024 è riconosciuto, un esonero, senza effetti sul rateo di tredicesima, sulla quota dei contributi previdenziali per IVS a carico del lavoratore di 6 punti percentuali a condizione che la retribuzione imponibile, parametrata su base mensile per tredici mensilità, non ecceda l’importo mensile di 2.692 euro, al netto del rateo di tredicesima. L’esonero di cui al primo periodo è incrementato, senza effetti sul rateo di tredicesima, di un ulteriore punto percentuale, a condizione che la retribuzione imponibile, parametrata su base mensile per tredici mensilità, non ecceda l’importo mensile di 1.923 euro al netto del rateo di tredicesima. Naturalmente la riduzione contributiva non ha alcuna incidenza sul computo pensionistico.

Fringe benefit

Novità arrivano sul fronte dei fringe benefits esenti da tasse e contributi. Infatti, per il 2024 non concorrono a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti, nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale, delle spese per l’affitto della prima casa ovvero per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa il limite generale, entro il limite complessivo di 1.000 euro. Tale limite è elevato a 2.000 euro per i lavoratori dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati, che si trovano nelle condizioni previste dall’art. 12, c. 2, del Testo unico delle imposte sui redditi.

I datori che intendano avvalersi della norma devono fornire previa informativa alle rappresentanze sindacali unitarie laddove presenti. La norma si porta dietro l’errore “genetico” che ritrovavamo anche sul Decreto Lavoro. Si titola “Misure fiscali per il welfare aziendale” ma l’intervento legislativo agisce esclusivamente sulla soglia di esenzione dei cosiddetti fringe benefit che, come è noto, possono essere erogati senza i limiti, le finalità e le procedure proprie dei sistemi di welfare aziendale.

Premi di risultato

La legge di bilancio confermerebbe inoltre, anche per il 2024, la detassazione dei premi di risultato: l’aliquota dell’imposta sostitutiva sui premi di produttività, entro il limite di 3mila euro, è ridotta al 5%. Un vantaggio per i lavoratori che, a parità di costo del lavoro, avrebbero netti in busta decisamente più alti.

Turismo: incentivi allo straordinario

Al fine di garantire la stabilità occupazionale e di sopperire all’eccezionale mancanza di offerta di lavoro nel settore turistico, ricettivo e termale, è confermato per il periodo dal 1°gennaio 2024 al 30 giugno 2024 (quindi soprattutto settore del turismo invernale) il riconoscimento di un trattamento integrativo speciale, che non concorre alla formazione del reddito, pari al 15% delle retribuzioni lorde corrisposte in relazione al lavoro notturno e alle prestazioni di lavoro straordinario effettuate nei giorni festivi. La misura già sperimentata nel corso del 2023 mira a recuperare il potere d’acquisto salariale a parità di costo del lavoro in settori nevralgici per il sistema Paese e che vivono momenti di grave difficoltà di reclutamento del personale. Le disposizioni si applicano a favore dei lavoratori dipendenti del settore privato titolari di reddito di lavoro dipendente di importo non superiore, nel periodo d’imposta 2023, a euro 40.000.

Adeguamento delle pensioni all’inflazione

La legge prevede un adeguamento delle pensioni all’inflazione. Questa misura garantisce che i pensionati, soprattutto quelli con redditi più bassi, possano mantenere il loro potere d’acquisto in un contesto di aumento dei prezzi. L’indicizzazione è prevista in misura differenziata a seconda dell’importo della pensione. Ovviamente privilegiate e con indicizzazione al 100% sono i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS.

Modifiche alle pensioni anticipate

E’ uno dei temi più complicati, e che sarà oggetto delle maggiori attenzioni nel corso dei lavori parlamentari, dell’intera manovra. La quota (somma tra età anagrafica e anni di contributi versati) sembra sposarsi sul numero di 103 ma con trattamento erogato con sistema contributivo, “penalizzazioni con le finestre” e tetto non superiore a 4 volte il minimo.

Ape sociale

Prorogata una disposizione di flessibilità in uscita dal mercato del lavoro. L’APE, anticipo pensionistico, sociale sarà utilizzabile per i soggetti più fragili socialmente (disoccupati, invalidi, lavoratori impegnati in attività pesanti) al compimento dei 63 anni e 5 mesi. L’autorizzazione di spesa è incrementata di 85 milioni per il 2024, di 168 milioni per il 2025 e di 127 milioni per il 2026.

Congedi parentali

Il valore dell’indennità prevista per i congedi parentali (ordinariamente al 30%) viene elevata, in alternativa tra i genitori, per la durata massima complessiva di due mesi fino al sesto anno di vita del bambino, alla misura dell’80% della retribuzione nel limite massimo di un mese e alla misura del 60% della retribuzione nel limite massimo di un ulteriore mese, elevata all’80% per il solo anno 2024.

Decontribuzione lavoratrici madri

Per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026 alle lavoratrici madri di tre o più figli con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, ad esclusione dei rapporti di lavoro domestico, è riconosciuto un esonero del cento per cento della quota dei contributi previdenziali a carico del lavoratore fino al mese di compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo, nel limite massimo annuo di 3.000 euro riparametrato su base mensile.

L’esonero di cui al comma 1 è riconosciuto, in via sperimentale, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026 anche alle lavoratrici madri di due figli con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, ad esclusione dei rapporti di lavoro domestico, fino al mese del compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo. Come di tutta evidenza la norma va ad azzerare la quota di ritenuta previdenziale residua rispetto al taglio del cuneo fiscale e, in questo caso, non è legata al reddito della lavoratrice.

ABITAZIONI CLASSE A/B – DETRAZIONE del 50% IVA PER ACQUISTI ENTRO IL 31/12

La Legge di bilancio 2023 ha introdotto la detrazione IRPEF in relazione all’acquisto di unità immobiliari abitative “ad alto risparmio energetico”:

Dunque, per il 2023 si ha diritto una detrazione IRPEF del 50%:
▪️ dell’importo corrisposto per il pagamento dell’IVA
▪️ sull’acquisto effettuato dal 1/01/2023 al 31/12/2023 di abitazioni di classe energetica A o B
▪️ cedute direttamente dalle imprese che le hanno edificate/ristrutturate.
La detrazione va ripartita in 10 quote annuali.

Di seguito si riassume le caratteristiche principali della detrazione:

ACQUISTI ENTRO IL 31 DICEMBRE 2023

Secondo quanto emerge dal Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 54 e dal comunicato del MEF del 16 ottobre 2023, nel DDL di bilancio per l’anno 2024 non contiene misure che riguardano i bonus edilizi, in generale.
In assenza di modifiche introdotte in sede di discussione parlamentare, la detrazione Irpef sarà limitata al 2023; ciò comporta che, per poter fruire del beneficio, il rogito di acquisto dell’unità immobiliare deve essere stipulato entro il 31/12/2023.

PRINCIPIO DI CASSA
La detrazione opera sulle somme effettivamente pagate all’impresa in relazione all’Iva; dunque è necessario che il pagamento dell’IVA avvenga nel periodo di imposta (CM 12/2016 e CM 7/2017).

ACCONTI: in relazione ad eventuali acconti pagati, è possibile “aggiornare” al 2023 quanto in passato chiarito in relazione all’introduzione della detrazione sul periodo 2016 (per ultimo dall’Interpello n. 149/2020).

Nel caso di:
acconti pagati nel 2022: la detrazione non spetta, anche se il rogito è stipulato nel 2023 (CM 20/2016)
acconti pagati nel 2023: la detrazione spetta (nel 2023) se il preliminare di acquisto risulta registrato e il rogito sia stipulato entro il 31/12/2023.

In arrivo semplificazioni per le dichiarazioni dei sostituti d’imposta

Lo schema di decreto legislativo in materia di adempimenti tributari, approvato in esame preliminare dal Consiglio dei Ministri nella seduta dello scorso 23 ottobre e sul quale dovranno esprimere i propri pareri le Commissioni parlamentari competenti, prevede alcune semplificazioni in favore dei sostituti d’imposta.

Una prima misura, contenuta nell’art. 3, riguarda l’eliminazione della Certificazione Unica, a decorrere dall’anno di imposta 2024, per i compensi, comunque denominati, corrisposti ai contribuenti che adottano il regime forfetario (L. 190/2014) e il regime di vantaggio (art. 27 del DL 98/2011).
Benché sui compensi erogati a tali contribuenti non venga operata la ritenuta d’acconto per effetto delle disposizioni di esonero previste nelle leggi istitutive dei citati regimi agevolati, i sostituti d’imposta sono comunque tenuti al rilascio della Certificazione Unica, nella quale i compensi erogati sono identificati tramite specifici codici.

La semplificazione contenuta nello schema di decreto legislativo verrebbe inserita nel nuovo comma 6-septies dell’art. 4 del DPR 322/98 ed è da mettere in relazione alla piena operatività, a decorrere dal 1° gennaio del prossimo anno, dell’obbligo di fatturazione elettronica per i soggetti che utilizzano questi regimi agevolati. Ciò consente di alleggerire gli adempimenti a carico dei sostituti d’imposta poiché l’Amministrazione sarà già nelle condizioni di conoscere le prestazioni rese e fatturate dai contribuenti.
Operando per i compensi corrisposti dal 2024, l’esonero sarà operativo per la prima volta con riguardo alle CU 2025; le CU 2024, relative al 2023, seguiranno quindi ancora le “vecchie regole”.

Può essere osservato che i contribuenti in regime forfetario non sono tenuti a operare le ritenute alla fonte di cui al Titolo III (artt. 23-30) del DPR 600/73, a eccezione delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e assimilati di cui agli artt. 23 e 24 del DPR 600/73 (art. 1 comma 69 della L. 190/2014).
Proprio a fronte di tale esonero, nell’ambito del quadro RS del modello REDDITI PF deve essere indicato il codice fiscale del percettore dei redditi per i quali, all’atto del pagamento degli stessi, non è stata operata la ritenuta e il relativo ammontare. Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate aveva chiarito che il prospetto deve essere compilato facendo riferimento ai redditi e ai compensi pagati nel periodo d’imposta oggetto di dichiarazione, indipendentemente dal motivo per cui la ritenuta non sia stata effettuata. La compilazione deve avvenire, ad esempio, anche quando il soggetto percipiente sia a sua volta un soggetto forfetario per il quale la ritenuta non si applica ex art. 1 comma 67 della L. 190/2014 (circ. n. 10/2016, § 4.2.2).

Allo stesso di modo di quanto sopra rilevato per le Certificazioni Uniche, anche in questo caso, l’indicazione parrebbe superflua a seguito del ricorso generalizzato alla fatturazione elettronica. Onde evitare la comunicazione di dati di cui l’Amministrazione già dispone, sarebbe quindi opportuno un allineamento del chiarimento al nuovo quadro normativo.

La seconda semplificazione in favore dei sostituti d’imposta, presente nell’art. 16 dello schema di decreto legislativo, riguarda il modello 770, ossia la dichiarazione che deve essere utilizzata, ai sensi dell’art. 4 del DPR 322/98, per comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati fiscali relativi alle ritenute operate nell’anno precedente, i relativi versamenti e le eventuali compensazioni effettuate, il riepilogo dei crediti, nonché gli altri dati richiesti.

In particolare, si introduce la possibilità, in via sperimentale e facoltativa, di comunicare all’Agenzia delle Entrate i suddetti dati delle ritenute e delle trattenute di lavoro dipendente e autonomo nell’ambito dei versamenti mensili, utilizzando i servizi dell’Agenzia delle Entrate per la predisposizione dei modelli F24, evitando così di inserire nel modello 770 i dati già comunicati.
I dati relativi alle ritenute e trattenute operate sarebbero quindi indicati contestualmente al versamento mensile delle stesse e la comunicazione dei dati sarebbe così a tutti gli effetti equiparata all’esposizione degli stessi nel 770.

La disposizione sarebbe applicabile a decorrere dai versamenti relativi alle dichiarazioni dei sostituti d’imposta dell’anno di imposta 2025 (la semplificazione avrebbe quindi effetto sul 770 relativo al 2025 da presentare nel 2026) per i sostituti d’imposta con un numero di dipendenti non superiore a cinque al 31 dicembre dell’anno precedente.

Adesione con comportamento concludente

L’adesione al descritto sistema semplificato avviene tramite comportamento concludente ed è vincolante per l’intero anno d’imposta in cui è esercitata.
Un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate individuerà gli specifici elementi informativi da comunicare e le modalità e i termini per la trasmissione dei dati, nonché ogni altra disposizione di attuazione.

Ritorna l’adesione ai PVC con riduzione delle sanzioni a 1/6 del minimo

All’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri di oggi c’è lo schema di decreto legislativo in tema di accertamento tributario e concordato preventivo biennale, attuativo della legge delega per la riforma fiscale. In base alla bozza del testo, tra le novità più importanti figurano il ritorno dell’adesione ai PVC e la sostanziale “espansione” dell’adesione ante accertamento a tutte le fattispecie.

Vengono poi disciplinate le notifiche a mezzo PEC degli atti impositivi, i profili accertativi dell’imposta sulle assicurazioni e lo scambio di informazioni tra Stati.

L’adesione ai PVC era stata introdotta dal DL 112/2008 e abrogata dalla L. 190/2014. Tale istituto viene riproposto in maniera quasi identica, non reintroducendo l’art. 5-bis del DLgs. 218/97, ma un “nuovo” art. 5-quater:
– ricevuto il PVC, il contribuente può integralmente aderire ai rilievi, presentando comunicazione all’organo accertatore nei successivi trenta giorni;
– entro sessanta giorni, l’Agenzia delle Entrate notifica l’atto di definizione dell’accertamento parziale;
– le sanzioni sono ridotte a 1/6 del minimo edittale, il doppio rispetto all’accertamento con adesione.

Stupisce che il legislatore delegato non si sia premurato di arginare quello che si è rivelato il maggior punto dolente dell’adesione ai PVC: essa avveniva, e avverrà se il testo della norma non verrà cambiato, “al buio”, senza confronto con il contribuente. Questi deve aderire per intero ai rilievi, ma si può discutere sul riconoscimento di costi, indicati e non quantificati nel PVC, sul computo di perdite pregresse, sulla tassazione agevolata per la tipologia del contribuente e così via.
Si aprono così le vie all’impugnazione dell’atto di definizione, instaurando proprio quel contenzioso che l’adesione ai PVC ha l’intento di evitare.

Poi, sino alla presentazione della comunicazione e comunque non oltre i trenta giorni sono sospesi i termini di decadenza dall’accertamento, anche se non si è a ridosso dei termini stessi. Norma che, per come è scritta, potrebbe spingere gli uffici a invocare la sospensione quand’anche non si intenda definire.
Rimane il riferimento all’accertamento parziale, poco comprensibile visto che, in pratica, quasi tutti gli accertamenti possono essere parziali.

Il sistema introdotto dal DL 112/2008 prevedeva una sorta di esclusione reciproca tra adesione ai PVC e acquiescenza per quanto riguarda la più favorevole riduzione delle sanzioni a 1/6. Arrivato il PVC, lo si poteva definire al sesto, ma se non lo si definiva l’accertamento poteva essere definito a 1/3, 1/6 se non era stato preceduto da PVC. Ciò non viene riproposto, pertanto l’acquiescenza ex art. 15 del DLgs. 218/97 continua ad avvenire al terzo dell’irrogato.

Passando all’adesione, viene abrogato l’art. 5-ter del DLgs. 218/97 (adesione ante accertamento su invito degli uffici), ma nel contempo si stabilisce che l’invito del precedente art. 5 (strumentale all’adesione, che già contiene gli imponibili e le imposte) sia notificato in occasione del contraddittorio preventivo.
Quel tanto sospirato schema di provvedimento che il contribuente dovrà ricevere in attuazione del contraddittorio conterrà gli imponibili e le imposte.
In sostanza, si potenzia l’adesione ante accertamento su invito dell’Ufficio, che sarebbe ammessa, in via generalizzata, anche per gli accertamenti parziali e per le verifiche terminate con verbale di constatazione.

Inspiegabilmente, nonostante il tema sia oggetto di contenzioso ormai da anni, il legislatore delegato non inserisce gli avvisi di liquidazione tra gli atti definibili mediante adesione, in quanto il nuovo art. 12 del DLgs. 218/97 parla di accertamenti e di atti di recupero.
Gli avvisi di liquidazione (prima casa, riqualificazione atti) hanno spesso valenza accertativa, ma secondo la prassi degli uffici non rientrano nell’adesione.
Insomma, la tecnica legislativa lascia a desiderare.

Adesione ante accertamento potenziata

Non vengono modificati gli artt. 41-bis, 43 del DPR 600/73 e 57 del DPR 633/72: quel principio di unicità dell’accertamento che è stato introdotto nello schema di decreto modificativo della L. 212/2000 si risolve in una bolla di sapone, quantomeno per imposte sui redditi e IVA. Per la stessa imposta e lo stesso anno, il contribuente potrà, ora come allora, ricevere anche quattro o cinque accertamenti, tutti “parziali”.

Una novità positiva compare però anche in questa bozza di decreto: modificando l’art. 31 del DPR 600/73, si prevede che la Direzione provinciale competente per la società di persone sarà competente anche per l’accertamento sul reddito di partecipazione del socio.
Ci sarebbe un unico atto o due atti riconducibili alla stessa Direzione provinciale nonostante il domicilio fiscale della società e del socio divergano. Si eliminerebbero le annose, e talvolta irrisolvibili, problematiche derivanti dalla difficoltà di riunire ricorsi quando vi è diversità di domicilio fiscale, considerato che possono essere diverse anche le Corti tributarie competenti.