Per assegnazioni e cessioni agevolate, da valutare se scatta il pro rata

Con il DL 29 settembre 2023 n. 132, pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale e in vigore da oggi, è disposta la proroga al 30 novembre 2023 dei termini per realizzare le operazioni agevolate di assegnazione e cessione di beni ai soci, previste dalla L. 197/2022. Sino a quella data, è quindi possibile perfezionare tali operazioni e, in particolare, vi è tempo per versare le imposte sostitutive.

Per quanto concerne l’IVA, non è previsto alcun differimento degli eventuali versamenti dovuti secondo le liquidazioni periodiche. Peraltro, sul piano dell’IVA, le assegnazioni e le cessioni ai soci – seppur agevolate ai sensi della L. 197/2022 per l’imposizione diretta – sono soggette alle regole ordinarie. In termini generali, quindi, le predette operazioni sono equiparate alle cessioni di beni e, quando hanno a oggetto fabbricati, si applica il regime di esenzione da IVA (o di imponibilità a determinate condizioni) previsto dall’art. 10 nn. 8-bis) e 8-ter) del DPR 633/72.

La sola eccezione è rappresentata, per le assegnazioni ai soci (art. 2 comma 2 n. 6 del DPR 633/72), dalla circostanza in cui non sia stato esercitato, all’atto dell’acquisto del bene, il diritto alla detrazione dell’imposta “a monte” (si voglia perché acquistati da un privato o prima del 1973, si voglia perché l’IVA era indetraibile in tutto o in parte). In tali casi, l’operazione è esclusa da IVA, essendo equiparata all’autoconsumo esterno ex art. 2 comma 2 n. 5 del DPR 633/72 (cfr. circ. Agenzia delle Entrate n. 26/2016 e Studio Consiglio nazionale del Notariato n. 46-2023/T).

Nella misura in cui il regime IVA applicato all’operazione agevolata sia quello di esenzione, la società cedente o assegnante deve porsi il tema dei possibili effetti in termini di “pro rata” di detrazione dell’imposta.

Ai sensi dell’art. 19-bis comma 2 del DPR 633/72, la cessione esente può comunque non determinare il calcolo del “pro rata” allorché essa non formi “oggetto dell’attività propria del soggetto passivo”. Nella maggior parte dei casi, la finalità “extra-imprenditoriale” dell’operazione dovrebbe escludere l’applicabilità del “pro rata” laddove sia effettuato un singolo atto in regime di esenzione a fronte di un’attività contraddistinta dal regime di imponibilità.
In quest’ottica, si consideri anche la Relazione illustrativa al DLgs. 313/97 (che ha riformulato le regole sulla detrazione, nei principi tuttora in vigore) in cui si identifica chiaramente che il “pro rata” si applica solo in presenza di operazioni esenti riconducibili a una vera e propria attività caratteristica del soggetto passivo.

Tuttavia, l’esclusione dal “pro rata” potrebbe essere da riconsiderare se la società assegnante (o cedente) agisce nel settore immobiliare e ha effettuato ulteriori cessioni o locazioni esenti. Anche in tale ambito, a prescindere dal valore dell’operazione rispetto al volume d’affari complessivo, dovrebbe prevalere la linea dell’occasionalità, non integrando – nella maggior parte dei casi – l’atto di assegnazione o cessione agevolata il fine produttivo dell’impresa.
Si ricorda che, nell’ottica dell’Amministrazione finanziaria, l’attività propria dell’impresa “va assunta sotto un profilo prevalentemente qualitativo, intesa cioè come quella diretta a realizzare l’oggetto sociale e quindi a qualificare sotto l’aspetto oggettivo l’impresa esercitata, e sotto tale aspetto proiettata sul mercato e, quindi nota ai terzi” (C.M. n. 71/87, ripresa dalla ris. Agenzia delle Entrate n. 41/2011 e dalla risposta n. 83/2023).

La prassi dell’Agenzia delle Entrate (risposta n. 200/2020) ha, inoltre, rappresentato il caso di una società il cui oggetto sociale è relativo all’acquisto di beni immobili da destinare ad attività sportive e ricreative, nonché alla costruzione dei relativi impianti e alla locazione, compravendita e permuta di detti immobili e impianti, considerando come cessione “occasionale” rispetto all’attività propria dell’impresa la cessione a titolo oneroso di un diritto di superficie su un fabbricato strumentale, in regime di esenzione IVA (escludendo, quindi, il calcolo del “pro rata”). Il principio potrebbe essere replicato per la società del settore immobiliare – con oggetto sociale la costruzione, compravendita e/o locazione di fabbricati – che si trova nella condizione di assegnare o cedere ai soci, in via agevolata, uno dei beni in proprio possesso.

Nel caso di cessione o assegnazione esente, sono da considerare anche le conseguenze in termini di rettifica della detrazione. Come ribadito nella recente risposta n. 431/2023, le operazioni attive (di assegnazione) sono autonome rispetto alle regole concernenti la rettifica, ai sensi dell’art. 19-bis2 del DPR 633/72.
Fermo il rispetto del periodo decennale di osservazione previsto per i fabbricati, rientrano negli obblighi di rettifica della detrazione (per “cambio di destinazione” del bene) le cessioni e le assegnazioni in regime di esenzione IVA di immobili per i quali l’IVA “a monte” è stata, invece, detratta.
La determinazione del quantum della rettifica e dell’eventuale connesso versamento avviene a seguito della prima dichiarazione annuale IVA successiva (art. 19-bis2 comma 9 del DPR 633/72), a prescindere dalla data di cessione o assegnazione.

Assegnazioni e cessioni agevolate con differenti effetti in capo al socio

Le operazioni agevolate di assegnazione e cessione dei beni ai soci di cui all’art. 1 commi 100-105 della L. 197/2022 comportano differenti effetti in capo ai soci con riferimento al valore fiscale dei beni assegnati (o ceduti).

In particolare, nell’ambito delle operazioni di assegnazione agevolata, l’Agenzia delle Entrate aveva chiarito che il valore del bene assunto ai fini fiscali dal socio assegnatario è il medesimo di quello adottato dalla società nella determinazione dell’imposta sostitutiva sulla plusvalenza realizzata: in questo senso si era espressa nella C.M. 21 maggio 1999 n. 112 (cap. I, Parte II, § 4.3), il cui orientamento è stato confermato nella più recente circ. 1 giugno 2016 n. 26.
Pertanto, laddove la società abbia calcolato l’imposta sostitutiva dell’8% o del 10,5% sulla plusvalenza determinata assumendo il valore normale ex art. 9 del TUIR, lo stesso deve essere assunto dal socio nella determinazione delle (eventuali) successive plusvalenze o minusvalenze.
Laddove, invece, la società abbia determinato la plusvalenza assumendo il valore catastale, lo stesso costituisce il nuovo costo fiscale in capo al socio ai fini delle successive plusvalenze o minusvalenze.

Diversamente, nell’ambito delle operazioni di cessione agevolata, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il costo fiscalmente riconosciuto del bene in capo al socio (cessionario) deve essere pari al corrispettivo pattuito, indipendentemente dal valore utilizzato dalla società nella determinazione della plusvalenza assoggettata a imposta sostitutiva (così si sono espresse le circ. n. 26/2016 e n. 37/2016).

Trattasi, con tutta probabilità, di un’interpretazione volta a scoraggiare le cessioni agevolate effettuate a corrispettivi inferiori al valore catastale, la quale comporta, tuttavia, fenomeni di doppia imposizione su una parte di valore del bene, in considerazione del fatto per cui il valore catastale rappresenta proprio il minimo valore cui attenersi nell’operazione di cessione agevolata (art. 1 comma 102, secondo periodo, della L. 197/2022).

Si pensi, ad esempio, ad un’operazione di cessione agevolata di un bene avente costo fiscalmente riconosciuto di 90.000 euro, valore normale di 250.000 euro e valore catastale di 165.000 euro, effettuata ad un corrispettivo di 150.000 euro.
La società assoggetta all’imposizione sostitutiva la plusvalenza fiscale di 75.000 euro, determinata dalla differenza tra il valore catastale (valore minimo da assumere a questi fini se il corrispettivo, come nell’esemplificazione, è inferiore) e il costo fiscalmente riconosciuto del bene.

Il socio, stando all’interpretazione fornita dalla prassi, nell’ipotesi di una successiva vendita dello stesso bene al prezzo di 200.000 euro, realizzerebbe una plusvalenza di 50.000 euro, dovendo assumere quale nuovo costo fiscale del bene il corrispettivo della cessione agevolata (150.000 euro), anziché il valore catastale (165.000 euro) utilizzato dalla società, che porterebbe ad una plusvalenza di 35.000 euro.Ripartenza del quinquennio dalla data di assegnazione

L’assegnazione e cessione agevolate determinano, inoltre, in capo ai soci assegnatari (o cessionari) l’acquisto a titolo originario del bene, comportando per i soggetti non imprenditori l’interruzione del quinquennio rilevante per le plusvalenze immobiliari ex art. 67 comma 1 lett. b) del TUIR.
Se, quindi, il socio decide di vendere il bene immobile nei cinque anni successivi all’operazione, lo stesso realizzerà una plusvalenza imponibile.

Nell’ambito dell’assegnazione agevolata, quindi, la scelta tra valore normale e catastale dovrà essere valutata anche sulla scorta delle intenzioni del socio rispetto a una successiva vendita dell’immobile (se queste intenzioni sono concrete e, soprattutto, attuali, l’assunzione del valore normale è in genere una scelta maggiormente favorevole nell’economia complessiva dell’operazione).

Su questo profilo, inoltre, l’Agenzia delle Entrate (ris. 17 ottobre 2016 n. 93) ha chiarito che non sussiste abuso del diritto in ipotesi di cessione di immobili effettuata dal socio successivamente all’assegnazione agevolata, godendo di un’imposizione calcolata sulla sola differenza tra il prezzo pagato dal terzo acquirente e il valore di assegnazione (o, addirittura, senza scontare tassazione).

L’operazione agevolata di trasformazione in società semplice, invece, non comporta alcuna interruzione del periodo di possesso dei beni e non determina, quindi, l’interruzione del quinquennio rilevante per le plusvalenze immobiliari.
Così, se all’atto della trasformazione la società deteneva gli immobili da almeno cinque anni, nella successiva cessione non si realizzano plusvalenze tassabili.