Aiuti di Stato da restituire per le grandi imprese che delocalizzano entro 10 anni

Per le grandi imprese che hanno beneficiato di aiuti di Stato sugli investimenti, il “periodo di sorveglianza” per il recupero in caso di delocalizzazione è stato esteso da 5 a 10 anni per effetto dell’art. 8 del DL 104/2023.
Tale disposizione interviene, nello specifico, sull’art. 5 del DL 87/2018, che ha previsto alcune disposizioni volte a contrastare la delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti di Stato.
Per delocalizzazione, ai fini in esame, si intende il trasferimento dell’attività economica specificamente incentivata o di una sua parte dal sito produttivo incentivato ad altro sito, da parte della medesima impresa beneficiaria dell’aiuto o di altra impresa che sia con essa in rapporto di controllo o collegamento ai sensi dell’art. 2359 c.c.

Tanto premesso, a norma dell’art. 5 comma 1 del DL 87/2018, le imprese italiane ed estere, operanti nel territorio nazionale, che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede l’effettuazione di investimenti produttivi ai fini dell’attribuzione del beneficio, decadono dal beneficio medesimo qualora l’attività economica interessata dallo stesso o una sua parte venga delocalizzata in Stati non appartenenti all’Unione europea (a eccezione degli Stati aderenti allo Spazio economico europeo) entro 5 anni dalla data di conclusione dell’iniziativa agevolata.

Per effetto delle modifiche apportate alla citata disposizione a opera dell’art. 8 del DL 104/2023, è stato ora aggiunto il seguente periodo: “ovvero entro dieci anni se trattasi di grandi imprese, individuate ai sensi della Raccomandazione n. 2003/361/Ce della Commissione, del 6 maggio 2003, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea n. L 124/36 del 20 maggio 2003”.

Pertanto, se ai fini in esame il periodo di sorveglianza” è in linea generale di 5 anni, soltanto per le grandi imprese è stato ora incrementato a 10 anni.
Per grandi imprese, stante il richiamo alla raccomandazione 2003/361, si intendono, per differenza rispetto alle PMI, le imprese che hanno da 250 dipendenti e un fatturato annuo da 50 milioni o un totale di bilancio annuo da 43 milioni di euro.

Quanto alla decorrenza delle nuove disposizioni per le grandi imprese, l’art. 8 del DL 104/2023 non prevede alcuna particolare indicazione (l’art. 5 comma 4 del DL 87/2018 aveva previsto espressamente una disciplina transitoria, in base alla quale “per i benefici già concessi o per i quali sono stati pubblicati i bandi, nonché per gli investimenti agevolati già avviati, anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, resta ferma l’applicazione della disciplina vigente anteriormente alla medesima data”).
Posto che, in linea di massima, il DL 104/2023 è entrato in vigore lo scorso 11 agosto, l’estensione del periodo di sorveglianza a 10 anni potrebbe riguardare anche le grandi imprese per le quali a tale data non fosse ancora scaduto il precedente termine di 5 anni.
Sul punto saranno comunque necessarie specifiche indicazioni.

Oltre alla decadenza, si ricorda, il comma 1 dell’art. 5 prevede una sanzione amministrativa pecuniaria di importo da due a quattro volte quello dell’aiuto fruito.

Fuori dai casi previsti dal comma 1 e fatti salvi i vincoli derivanti dalla normativa europea, le imprese italiane ed estere, operanti nel territorio nazionale, che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede l’effettuazione di investimenti produttivi specificamente localizzati ai fini dell’attribuzione di un beneficio, decadono dal beneficio medesimo qualora l’attività economica interessata dallo stesso o una sua parte venga delocalizzata dal sito incentivato in favore di unità produttiva situata al di fuori dell’ambito territoriale del predetto sito, in ambito nazionale, dell’Unione europea e degli Stati aderenti allo Spazio economico europeo, entro 5 anni dalla data di conclusione dell’iniziativa o del completamento dell’investimento agevolato.
In tal caso non sono state apportate modifiche al periodo di sorveglianza, che resta di 5 anni per tutte le imprese.

I tempi e le modalità per il controllo del rispetto del vincolo di cui ai commi 1 e 2, nonché per la restituzione dei benefici fruiti in caso di accertamento della decadenza, sono definiti da ciascuna amministrazione con propri provvedimenti volti a disciplinare i bandi e i contratti relativi alle misure di aiuto di propria competenza.
L’importo del beneficio da restituire per effetto della decadenza è, comunque, maggiorato di un interesse calcolato secondo il tasso ufficiale di riferimento vigente alla data di erogazione o fruizione dell’aiuto, aumentato di cinque punti percentuali (art. 5 comma 3 del DL 87/2018).

Superbonus per spese 2022 in 10 anni con spiraglio per cedere le rate residue

Ai contribuenti che hanno sostenuto nell’anno 2022 spese agevolate con il superbonus (senza che il fornitore abbia applicato sulle medesime lo sconto sul corrispettivo in fattura), il comma 8-quinquies dell’art. 119 del DL 34/2020, introdotto dall’art. 2 comma 3-sexies del DL 11/2023, consente di optare per la ripartizione della detrazione in dieci quote annuali costanti, anziché nelle quattro ordinariamente previste.
Ai sensi della richiamata disposizione, “l’opzione è esercitabile a condizione che la rata di detrazione relativa al periodo d’imposta 2022 non sia stata indicata nella relativa dichiarazione dei redditi” ed “è esercitata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta 2023”.

In pratica, l’opzione, oltre a implicare la spalmatura in dieci anni di una detrazione complessiva altrimenti frazionata in quattro (dal periodo d’imposta 2022 a quello 2025), comporta anche che il contribuente beneficiario “salti un giro” e cominci a beneficiarne soltanto dal periodo d’imposta 2023 (sino al periodo d’imposta 2032).
Sempre ai sensi della richiamata disposizione, una volta l’esercitata, “l’opzione è irrevocabile”.

Ciò che la norma non specifica espressamente è se l’esercizio dell’opzione irrevocabile in commento esplica effetti anche ai fini della cedibilità a terzi del credito d’imposta corrispondente alla detrazione spettante.

Se pare pacifico che l’esercizio dell’opzione postuli necessariamente la fruizione della prima delle dieci quote annuali della detrazione superbonus nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta 2023 (ossia il modello REDDITI 2024 o 730/2024), in quanto è in tale sede che l’opzione viene esercitata (subordinatamente al rispetto della mancata indicazione della detrazione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta 2022), assai meno pacifico appare il fatto che l’esercizio dell’opzione inibisca per il contribuente la possibilità di procedere in seguito alla cosiddetta “cessione differita delle rate residue di detrazione non ancora fruite”.

Anzi, posto che la ratio sottostante all’introduzione di questa facoltà era quella di aiutare i contribuenti con imposte lorde poco capienti e senza acquirenti disponibili a comprare il credito d’imposta corrispondente alla detrazione spettante, il fatto che la norma non ponga espresse limitazioni alla possibilità di cedere le rate residue di detrazione non ancora fruite, nei modi e alle condizioni della disciplina generale in materia di cessioni dei crediti d’imposta di cui all’art. 121 del DL 34/2020, induce a preferire la lettura volta a consentire la cedibilità delle rate residue di detrazione non ancora fruite anche con riguardo alle rate che si riferiscono a detrazioni superbonus per spese sostenute nel 2022, relativamente alle quali è stata esercitata l’opzione irrevocabile di spalmatura in dieci anni, ai sensi dell’art. 119 comma 8-quinquies del DL 34/2020.

Fermo restando che sul punto sarà necessario attendere le indicazioni di prassi ufficiale che l’Agenzia delle Entrate riterrà di adottare in sede di chiarimenti ai propri uffici e di implementazione delle procedure a livello informatico, un’auspicabile conferma di questa chiave di lettura della norma lascerebbe i contribuenti, una volta esercitata l’opzione, nell’impossibilità di tornare da un orizzonte temporale decennale a un orizzonte temporale quadriennale, ma nella possibilità, ove sopravvenisse un terzo disponibile ad acquisire i crediti d’imposta, di recuperare il beneficio corrispondente alle rate successive alla prima anche mediante esercizio dell’opzione di cessione differita delle rate residue.

Resta ben inteso che, in tal caso, il credito d’imposta superbonus che verrebbe ceduto manterrebbe dal punto di vista temporale un numero di rate annuali residue calcolate su un totale di partenza di dieci e non di quattro, proprio perché l’opzione per la spalmatura in dieci anni manterrebbe la sua piena efficacia, conformemente alla sua irrevocabilità sancita dalla norma.

Se questa nostra lettura sarà condivisa dall’Amministrazione finanziaria, peraltro, dovranno essere aggiornate le specifiche tecniche per la trasmissione della comunicazione di opzione per la cessione delle rate residue del superbonus ex art. 121 comma 1 lett. b) del DL 34/2020 (comunicazione di opzione che dovrà essere trasmessa, salvo proroghe future, entro il 16 marzo 2025 per la cessione dei nove decimi della detrazione spettante).