Regime impatriati: approvate le nuove regole in vigore dal 2024

Il regime degli impatriati subirà significative modifiche nel 2024 che rendono più stringente l’accesso al beneficio fiscale, riducono la durata, nonché la percentuale di reddito esclusa da tassazione, ma nella versione finale la norma ammette i lavoratori appartenenti allo stesso gruppo. Sono queste le novità approvate il 19 dicembre 2023 dal Consiglio dei Ministri.

Il regime degli impatriati, incentivo fiscale per i lavoratori che si trasferiscono in Italia, è stato definitivamente modificato dall’art. 5 del Decreto legislativo di riforma in materia di fiscalità internazionale

Il Consiglio dei Ministri del 19 dicembre 2023 ha approvato alcune modifiche al testo del decreto sulla fiscalità internazionale rispetto alla versione precedente.

Il regime impatriati nel 2024

Il nuovo regime degli impatriati si applica ai contribuenti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia e che percepiscono redditi di lavoro dipendente, redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e redditi di lavoro autonomo.

Per tali contribuenti il reddito di lavoro concorre alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50% entro il limite annuo di 600.000 euro al ricorrere delle seguenti condizioni:

1) i lavoratori non devono essere stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il trasferimento. Se il lavoratore presta l’attività lavorativa a favore dello stesso soggetto presso il quale è stato impiegato all’estero prima del trasferimento oppure in favore di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo, il requisito minimo di permanenza all’estero è di:

  • sei periodi d’imposta, se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;
  • sette periodi d’imposta, se il lavoratore, prima del suo trasferimento all’estero, è stato impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;

2) devono impegnarsi a risiedere fiscalmente in Italia per almeno cinque anni;

3) l’attività lavorativa deve essere prestata per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio italiano;

4) i lavoratori devono essere in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti dal D.Lgs. 108/2012 e dal D.Lgs. 206/2007.

La nuova formulazione, rispetto alla versione prevista dal richiamato Schema di decreto n. 90, consente l’accesso al regime anche ai lavoratori impiegati in Italia dallo stesso soggetto presso il quale sono stati impiegati all’estero prima del trasferimento, oppure in favore di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo.

Le nuove regole, quindi, non vietano l’accesso al regime per i soggetti che sono stati impiegati all’estero da uno stesso datore o da uno stesso gruppo, come prevedeva la versione originaria, ma richiedono semplicemente una maggiore permanenza all’estero affinché possano usufruire dei benefici del regime.

Ulteriore modifica è la specificazione che il limite di 600.000 euro è annuale, mentre l’assenza di precisazioni nella precedente versione poteva originare dubbi.

Infine la nuova disposizione prevede una maggiore agevolazione con detassazione del 60% nel caso il lavoratore trasferito in Italia abbia figli minori.

In particolare, la percentuale di reddito che concorre alla formazione del reddito complessivo scende al 40% per cento nei seguenti casi:

  • il lavoratore si trasferisce in Italia con un figlio minore;
  • in caso di nascita di un figlio ovvero di adozione di un minore di età durante il periodo di fruizione del regime di cui al presente articolo. In tale caso il maggior beneficio è fruito a partire dal periodo d’imposta in corso al momento della nascita o dell’adozione e per il tempo residuo di fruibilità dell’agevolazione.

La maggiore agevolazione si applica a condizione che, durante il periodo di fruizione del regime da parte del lavoratore, il figlio minore di età, ovvero il minore adottato, sia residente nel territorio dello Stato.

Cosa cambia nel 2024 rispetto al 2023

Le nuove regole, rispetto a quelle applicabili ai lavoratori trasferiti nel 2023, rendono meno attrattivo il regime attraverso:

  • la riduzione del beneficio fiscale, scendendo dal 70 al 50% la detassazione (incrementata al 40% in caso di figlio minore);
  • la limitazione del beneficio ai soli redditi da lavoro dipendente e assimilati, nonché da lavoro autonomo, mentre restano fuori i redditi di impresa;
  • l’introduzione di un limite annuo di reddito pari a 600.000 euro per fruire delle agevolazioni;
  • condizioni più stringenti per l’accesso all’agevolazione, tra cui l’elevata qualificazione dei lavoratori e un periodo più lungo di residenza fiscale all’estero (3 anni contro i 2 attualmente previsti) nonché di permanenza in Italia dopo il rientro (5 anni contro i 2 attualmente previsti);
  • con esclusione della clausola di salvaguardia applicabile a chi ha acquistato una casa nel 2023 (infra), non è previsto il prolungamento dell’agevolazione pertanto la durata sarà per di 5 anni (contro i 10 in caso di proroga);
  • non viene riproposta la maggiorazione dell’agevolazione (detassazione del 90% del reddito) per i lavoratori impatriati che si trasferiscono nelle regioni del Mezzogiorno;
  • limitazioni, in termini di una maggiore permanenza all’estero, per l’accesso dei lavoratori impiegati in Italia dallo stesso datore o dallo stesso gruppo di imprese.

Le nuove regole cercano di limitare comportamenti non in linea con lo spirito della normativa, come per esempio il trasferimento temporaneo di lavoratori all’estero all’interno del gruppo in modo da costruire le condizioni per l’accesso al regime al rientro in Italia. In maniera analoga si vuole evitare che le regole diventino un incentivo anche in uscita dall’Italia perché il lavoratore sa(peva) che con due anni di residenza all’estero poteva rientrare e beneficiare del regime.

Tuttavia l’effetto è quello di rendere meno attrattivo un regime che cerca di portare popolazione lavorativamente attiva in Italia di cui vi è grande bisogno, considerando il declino demografico e la costante emigrazione di giovani che trovano lavoro all’estero, fenomeno evidenziato dalla presenza di ben 6 milioni di italiani residenti all’estero.

Clausole di salvaguardia

La nuova disciplina del regime degli impatriati prevede due clausole di salvaguardia a tutela di coloro che hanno fatto affidamento sul regime degli impatriati secondo la formulazione del 2023.

Nel dettaglio, le regole sul regime degli impatriati del 2023 continuano a trovare applicazione per i lavoratori che hanno trasferito la loro residenza anagrafica in Italia entro il 31 dicembre 2023 ovvero, per i rapporti di lavoro sportivo, che hanno stipulato il relativo contratto entro la stessa data.

L’applicazione della clausola di salvaguardia è destinata a creare dubbi interpretativi per i lavoratori non iscritti all’AIRE che non potranno trasferire la residenza anagrafica entro il 31 dicembre 2023, perché non essendo iscritti all’AIRE di fatto non hanno mai spostato la residenza anagrafica. In tale contesto il trasferimento dovrebbe risultare da qualsiasi documento idoneo a dimostrare l’avvenuto spostamento in Italia entro il 31 dicembre 2023, come per esempio l’inizio dell’attività lavorativa, la cancellazione dai registri esteri ai fini fiscali e anagrafici. D’altro canto ritenere non salvaguardati alcuni cittadini perché non iscritti all’AIRE finirebbe per aprire un varco a possibili contenziosi fondati sulla discriminazione.

Limitatamente ai soggetti che trasferiscono la loro residenza anagrafica nell’anno 2024, il regime si applica per ulteriori tre periodi di imposta nel caso in cui il contribuente è divenuto proprietario, entro la data del 31 dicembre 2023 e, comunque, nei dodici mesi precedenti al trasferimento, di un’unità immobiliare di tipo residenziale adibita ad abitazione principale in Italia.

In tal caso i redditi, negli ulteriori tre periodi di imposta, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50% del loro ammontare.

No alla proroga del regime impatriati se il versamento è parziale

Con la risposta 383 frò 19/07/2022, l‘Agenzia delle Entrate ha chiarito che:
-Un cittadino che intende beneficiare della proroga del regime previsto per i lavoratori “impatriati” ma si è accorto che la somma versata, pari al 10%, per aderire al rinnovo dell’agevolazione è inferiore a quanto dovuto
-Non può effettuare il pagamento dell’integrazione ricorrendo al ravvedimento operoso. L’estensione è subordinata al versamento del 10 o del 5% del reddito, nei termini indicati nel provvedimento del 3 marzo 2021.


L’istante, quindi, non potrà fruire dell’estensione del regime di favore per ulteriori 5 anni, ma potrà solo recuperare quanto già versato.


Il decreto “Crescita” (articolo 5, comma 1, lett. c), Dl n. 34/2019) ha inserito nel decreto Internazionalizzazione (nell’articolo 16 del Dlgs n. 147/2015) il comma 3-bis che prevede la possibilità di estendere ad ulteriori cinque anni il regime sugli impatriati in presenza di almeno un figlio minore o in caso di acquisto di una casa in Italia. La circolare n. 33/2020 ha fornito ulteriori chiarimenti sull’estensione
del regime che prevede la tassazione al 50% del reddito imponibile per ulteriori 5 anni, ridotta al 10% se il soggetto ha almeno tre figli minori o a carico.


Successivamente, la legge di bilancio 2021 (articolo 1, comma 50, della legge n. 178/2020) ha previsto che tutti gli iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero o i cittadini di Stati membri dell’Unione europea, che hanno già trasferito la residenza prima dell’anno 2020 e che alla data del 31 dicembre 2019 risultano beneficiari del regime “impatriati” possono optare per l’estensione del regime speciale per altri cinque periodi d’imposta, previo versamento di un importo pari al 10% ovvero al 5% dei redditi di lavoro dipendente o autonomo prodotti in Italia relativi al periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione. Il versamento del 10%, come precisato dal provvedimento del 3 marzo 2021, riguarda i cittadini impatriati con almeno un figlio minore o a carico oppure i cittadini che abbiano acquistato un immobile a uso abitativo in Italia. la percentuale si riduce al 5% se i figli sono almeno tre e il lavoratore abbia comunque acquistato la casa.


I dipendenti devono poi presentare richiesta scritta al datore di lavoro entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di conclusione del primo quinquennio e se tale periodo è finito il 31 dicembre 2020, entro 180 giorni dalla data di pubblicazione del Provvedimento (quindi entro il 30 agosto 2021).
La richiesta fra l’altro deve indicare gli estremi del versamento del 10% o del 5 per cento. I sostituti a loro volto effettueranno le ritenute del 50% o del 10% del reddito imponibile sulle somme e i valori imponibili corrisposti dal periodo di paga successivo al ricevimento della richiesta scritta.


Gli autonomi comunicano l’estensione del regime di favore nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui hanno effettuato i versamenti del 10 o del 5 per cento.


Alla luce del quadro normativo e di prassi delineato, l’Agenzia ritiene che in caso di omesso o parziale versamento di quanto dovuto il diritto all’opzione si perde essendo precluso il ricorso all’istituto del ravvedimento operoso. L’istante quindi potrà solo recuperare quanto versato con apposita domanda da inviare entro due anni dal pagamento delle somme o se posteriore dal giorno in cui si è verificato il
presupposto per la restituzione.