Ravvedimento gratuito ma per pochi nella delega fiscale

Nell’art. 20 della L. 111/2023, la legge delega per la riforma fiscale, figura un criterio direttivo abbastanza di dettaglio che, in sintesi, prevede una sorta di ravvedimento operoso gratuito quando su di una determinata fattispecie vi è un mutamento di prassi.

Il criterio direttivo sancisce che i decreti delegati dovranno “escludere, in virtù dei principi di cui all’articolo 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’applicazione delle sanzioni per i contribuenti che presentino una dichiarazione integrativa al fine di adeguarsi alle indicazioni elaborate dall’Amministrazione finanziaria con successivi documenti di prassi pubblicati ai sensi dell’articolo 11, comma 6, della medesima legge 27 luglio 2000, n. 212, sempreché la violazione dipenda da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria e il contribuente provveda al pagamento dell’imposta dovuta”.

Il legislatore delegante vuole rafforzare il legittimo affidamento, evitando di irrogare sanzioni nei confronti del contribuente che si adegua “alle indicazioni elaborate dall’Amministrazione finanziaria con successivi documenti di prassi” ai sensi dell’art. 11 comma 6 della L. 212/2000.

Dovrà trattarsi di chiarimenti diramati con circolare o risoluzione, in modo ufficiale e non ufficioso (potrebbero quindi non essere sufficienti i chiarimenti diramati in occasione ad esempio di Telefisco, non recepiti in una circolare).
Il chiarimento, per come è scritta la norma, dovrà certamente essere successivo alla condotta del contribuente (alla presentazione della dichiarazione dunque) e non anche ad un precedente chiarimento di prassi che è risultato superato.

A ben vedere, già attualmente, ai sensi dell’art. 10 della L. 212/2000, se il contribuente si uniforma a chiarimenti di prassi poi modificati, non è passibile di nessuna sanzione, nonostante la Cassazione diverse volte abbia affermato un principio diverso.
Questo orientamento andrà radicalmente rivisto alla luce della legge delega e dei prossimi decreti delegati.

Tornando al criterio direttivo in esame, c’è un punto dolente che restringe non di poco il suo potenziale ambito applicativo e che, francamente, poteva forse essere evitato. L’esimente opera se “la violazione dipenda da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria”.

In primo luogo, è arduo stabilire quando sussiste l’obiettiva incertezza, in secondo luogo l’obiettiva incertezza già consente agli uffici di disapplicare le sanzioni ex art. 6 del DLgs. 472/97.
Non è poi chiaro se dovrà essere il contribuente, in autonomia, a individuare se è presente l’incertezza o se saranno gli uffici finanziari a specificarlo nei documenti di prassi.
Ove fossero gli uffici a doverlo specificare, si eviterebbero potenziali contenziosi tra uffici e contribuenti sulla presenza dell’incertezza.

Per il resto, si tratta come anticipato di una sorta di ravvedimento operoso gratuito, considerato che sarà necessario presentare la dichiarazione integrativa e pagare le imposte.

Necessaria la dichiarazione integrativa

I decreti delegati potranno prevedere dei limiti temporali entro cui tale ravvedimento operoso gratuito potrà avvenire.
Questa forma di ravvedimento, sempre ad un primo esame, non pare circoscritta alle imposte sui redditi e all’IVA ma può riguardare anche altri tributi, sempre che si tratti di violazioni commesse in dichiarazione. In altre parole, si consente, alle condizioni descritte, di sanare la dichiarazione infedele per qualsiasi tributo.

Definizione agevolata delle Liti pendenti – adesione entro il 02/10/2023

Entro il 2/10/2023 (il 30/09/2023 cade di sabato) scade il termine per presentare, attraverso l’apposita procedura online, le domande di adesione alla definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti al 1° gennaio 2023 in ogni stato e grado del giudizio (art. 1, co. da 186 a 202, L. n. 197/2022).

Nel corso dell’iter di conversione del DL 34/2023 (conv. in L. n. 56/2023) sono state introdotte novità in tema di definizione delle controversie ex art. 1 commi 186 e ss. della L. 197/2022.

Si premette che per poter definire la lite è necessario che:
• entro il 1° gennaio 2023, il contribuente abbia notificato il ricorso introduttivo di primo grado all’Agenzia fiscale (si fa riferimento alla data di accettazione della PEC, e non al momento della costituzione in giudizio);
• nel momento di presentazione della domanda, non si sia ancora formato il giudicato (non deve essere stata depositata la sentenza di Cassazione senza rinvio, nè spirati i termini per l’impugnazione della sentenza/riassunzione del processo).

Il ricorso all’istituto consente di ottenere lo stralcio delle sanzioni e degli interessi.
In particolare il contribuente accederà ai seguenti benefici:
• se l’Agenzia fiscale è rimasta soccombente in primo grado, si paga il 40% delle imposte;
• se l’Agenzia fiscale è rimasta soccombente in secondo grado (non rileva che in primo grado abbia vinto o perso), si paga il 15% delle imposte;
• se il processo pende in Cassazione al 1° gennaio 2023 e l’Agenzia fiscale è rimasta per intero soccombente in tutti i pregressi gradi di giudizio, si paga il 5% delle imposte;
• se il contribuente, in primo o in secondo grado, oppure in tutti e due i gradi, è risultato soccombente, occorre pagare per intero le imposte, fruendo dello stralcio di soli sanzioni e interessi.

Con riferimento alla definizione delle liti pendenti, che consente di definire le liti pendenti al 1° gennaio 2023 in qualsiasi stato e grado del giudizio, il DL “Bollette” ha posticipato, innanzitutto
• sia il termine per pagare le somme (o la prima rata);
• sia il termine per presentare la domanda di definizione;
dal 30 giugno 2023 al 30 settembre 2023.

Se il contribuente dichiara di volersi avvalere della definizione, il processo resta sospeso sino al 10/10/2023 (prima al 10 luglio 2023) e, ai fini dell’estinzione, entro tale data occorre depositare la domanda di definizione e il mod. F24 che attesta il pagamento delle somme.

Durante l’iter di conversione è stata apportata una ulteriore modifica al calendario delle rate.

Nell’iter di conversione del DL 34/2023, tale calendario è stato parzialmente riscritto; in particolare:
a) le prime 3 rate rimangono alle previgenti scadenze:
• 30 settembre 2023
• 31 ottobre 2023
• 20 dicembre 2023.

b) Le rate successive alle prime tre possono, ora, essere versate in un massimo di 51 rate mensili di pari importo, con scadenza entro l’ultimo giorno lavorativo di ciascun mese, a partire da gennaio 2024 (ad eccezione per il mese di dicembre di ciascun anno, per il quale la scadenza rimane fissata al giorno 20 del mese).

Le novità alle istruzioni al modello – Al fine di recepire le novità introdotte dal DL 34/2023 post conversione, sono state modificate le istruzioni relative alla sezione “determinazione dell’importo dovuto”.

Procedure operative – La domanda va compilata utilizzando il software reso disponibile dall’Agenzia Entrate.
Dal menu “Impostazioni/profilo utente” è necessario indicare che si sta trasmettendo la domanda in qualità di intermediari.
Non è necessaria alcuna autorizzazione telematica del cliente per trasmettere la domanda.
I codici degli uffici legali nonché delle Corti di giustizia tributaria presso cui pende il processo vengono scelti dall’apposito menu a tendina.

Bisogna poi indicare i dati della controversia (giorno di notifica del ricorso introduttivo, numero di RGR o di RGA) e il codice che contraddistingue la tipologia di definizione.
Indicato il valore della lite, le somme lorde vengono calcolate dal software; quelle nette si determinano scomputando quanto già pagato ad esempio in ragione della riscossione frazionata.

Legge delega fiscale: in vigore dal 29 agosto 2023

La legge delega per la riforma fiscale entra in vigore il 29 agosto 2023 ma gli Uffici sono da tempo al lavoro e le tredici Commissioni di esperti hanno tempo sino al 20 settembre per la presentazione degli schemi dei decreti legislativi di attuazione.

Un primo esame delle norme approvate, specie per confronto con la “grande riforma” del 1971, che conteneva già aliquote, scaglioni e detrazioni, ne denota la genericità in molti punti, che potrebbe configurare la violazione dell’art. 76 Cost., con il conseguente rischio di una dichiarazione di illegittimità. Ad esempio, nell’IRPEF, cosa significa che questa imposta deve tener conto dei “costi sostenuti per la crescita dei figli”? È un principio e criterio direttivo “determinato”?

Forse l’unico criterio determinato riguarderà l’IVA, in quanto abbiamo una norma sovraordinata, costituita dalla direttiva europea.

L’intera riforma è comunque e ovviamente sotto la spada di Damocle della copertura finanziaria: l’art. 22 Legge 111/2023 prevede che le risorse per attuare i “risparmi” d’imposta devono essere reperiti o nella legislazione esterna, come potrebbe essere la legge finanziaria annuale, con un possibile  stanziamento generico da utilizzare al momento dell’adozione dei decreti delegati, oppure all’interno della stessa delega: i decreti legislativi che determinano un nuovo gettito devono essere presentati prima di quelli che comportano nuovi o maggiori oneri. 

Quali sono le principali novità

Cominciamo con i punti di maggior rilievo per l’IRPEF: la prevista riduzione da quattro a tre aliquote – da quanto si ipotizza al momento – consentirà di attribuire poche centinaia di euro ai contribuenti con basso reddito. Non si parla di toccare l’aliquota del 43%, cui vanno aggiunte le addizionali, e che dovrebbe per lo meno spostare l’asticella verso livelli più elevati, anche solo per tener conto dell’inflazione. L’annunciato obiettivo della flat tax sembra una vera e propria utopia.

In questo ambito si prevede una razionalizzazione delle cd. tax expenditures, cioè degli oneri deducibili e detraibili. Certo si possono sfrondare le detrazioni che valgono poche decine di euro, come quella per l’iscrizione dei figli alle strutture sportive, ma non si può certo ledere il principio di correlazione, cioè la deducibilità di ciò che darà luogo a redditi tassati, come quelli di previdenza principale o complementare. Per i bonus edilizi, si può razionalizzare il futuro, escludendo ad esempio le detrazioni per le ville di lusso, che sono state le prime utilizzatrici del 110%, ma ci sono molti anni di detrazioni già maturate, ancora da compensare.

Di notevole rilievo la prevista estensione della cedolare secca alle locazioni non abitative, e l’unificazione dei redditi di capitale e diversi nell’unica categoria dei redditi finanziari. Qui il costo è elevato per l’erario, anche se è un’entrata ingiusta (perché pagare sui dividendi quando si sta perdendo in conto capitale?). Già nel 2003 si percorse questa strada senza riuscire ad avere un esito.

IRES e IRAP andranno in simbiosi, in quanto il tributo regionale è destinato a diventare un’addizionale del primo. La possibile riduzione di aliquota del primo tributo sarà motivata da investimenti o partecipazione dei dipendenti agli utili. Fermo restando che non potrà scendere sotto il 15% effettivo, in base alle regole del pillar One dell’OCSE, recepite con la Dir. UE 2022/2523 del 15 dicembre 2022.

Una sostanziale razionalizzazione e adeguamento alla Dir. CE 2006/112 per l’IVA, con la prevista anticipazione della Dir. UE 2022/542 sulle aliquote. Qui il lavoro sarà impegnativo, perché la nostra legge attuale utilizza ancora le voci doganali del 1973, sostituite dalla Nomenclatura Combinata ormai da alcune decine di anni. Il pro-rata generale sarà opzionale e non più la regola base.

Molti articoli della delega sono dedicati ai tributi indiretti, diversi dall’IVA, ai tributi locali e a quelli sui giochi.

Viene data grande e doverosa importanza al procedimento tributario, dalla fase prodromica degli interpelli, all’accertamento, alla riscossione e al contenzioso. Anche a livello internazionale si enfatizza il dovere reciproco di buona fede tra fisco e contribuente.

Le novità in tabella

Si riportano, in tabella, le principali novità previste dalla delega fiscale.

OggettoDescrizione degli obiettivi
IRPEF– revisione e graduale riduzione dell’IRPEF

– riordino delle deduzioni e delle detrazioni

– tassazione agevolata di straordinari, tredicesima e premi di produttività dei lavoratori dipendenti
IRES– aliquota ordinaria (24%)

– aliquota ridotta per le imprese che impiegano risorse in investimenti, nuove assunzioni o partecipazione dei dipendenti agli utili

– semplificazione e razionalizzazione del reddito d’impresa
IVA– revisione della disciplina delle operazioni esenti

– razionalizzazione del numero e della misura delle aliquote

– revisione della disciplina della detrazione
IRAPgraduale superamento, dando priorità alle società di persone e alle associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni
Accertamento– riconoscimento di maggiori diritti di difesa per il contribuente

– implementazione della compliance

– nuove metodologie di ricerca dell’evasione e dell’elusione fiscale

– potenziamento e semplificazione del regime dell’adempimento collaborativo

– concordato preventivo biennale per i contribuenti di minori dimensioni, con la possibilità di far riferimento, oltre che ai dati in possesso dell’AF, anche agli indicatori sintetici di affidabilità (ISA)
Contenziosointroduzione di norme più tutelanti per i diritti dei contribuenti sia in ordine alla possibilità di richiesta di udienza da remoto
Adempimentirazionalizzare, semplificare e armonizzare gli adempimenti dichiarativi
Sanzionimaggiore integrazione tra sanzioni amministrative e penali
Tributi localirevisione della fiscalità regionale e locale, al fine di realizzare la piena attuazione del federalismo fiscale regionale

Tassati i rimborsi per la ricarica di auto elettriche in uso promiscuo ai dipendenti

rimborsi erogati dal datore di lavoro al proprio dipendente per le spese di energia elettrica finalizzata alla ricarica degli autoveicoli assegnati in uso promiscuo costituiscono reddito di lavoro dipendente da assoggettare a tassazione, non rientrando quindi nel fringe benefit di cui all’art. 51 comma 4 lettera a) del TUIR. È quanto emerge dalla risposta a interpello n. 421 di ieri, 25 agosto, pubblicata dall’Agenzia delle Entrate.

Nella fattispecie in esame, la società ha una flotta aziendale di autovetture assegnate in uso promiscuo ai dipendenti, con addebito del “fringe benefit” in busta paga. La società sta rinnovando il parco auto con automezzi elettrici o ibridi e intende riconoscere ai dipendenti il rimborso delle spese per l’energia elettrica sostenute per la ricarica effettuata presso le relative abitazioni (spese collegate agli spostamenti lavorativi, tranne che per i dirigenti per i quali è previsto il rimborso totale). Viene, inoltre, precisato che l’azienda si farà carico delle spese di installazione e di manutenzione ordinaria delle infrastrutture necessarie (wallbox, colonnine di ricarica, contatore a defalco).
Il dubbio posto è se tali rimborsi possano essere considerati esclusi da imposizione ex art. 51 comma 4 lettera a) del TUIR.

Tanto premesso,  la lettera a) del citato comma 4, lettera a), dell’art. 51 del TUIR, nel definire il regime fiscale degli autoveicoli, motocicli e ciclomotori concessi in uso promiscuo ai dipendenti, prevede per gli stessi, in deroga al generale criterio di tassazione dei fringe benefit basato sul loro ’’valore normale’’, un criterio di determinazione forfetaria del quantum da assoggettare a tassazione (cfr. C.M. n. 326/1997, §§ 2.3.2 e 2.3.2.1).

In relazione ai veicoli concessi in uso promiscuo con contratti stipulati dal 1° luglio 2020, per i veicoli di nuova immatricolazione con valori di emissione di anidride carbonica non superiore a 60 g/km si assume il 25% (importo poi elevato a seconda dell’emissione di CO2) dell’importo corrispondente a una percorrenza convenzionale di 15.000 chilometri calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle ACI, al netto degli ammontari eventualmente trattenuti al dipendente.
Il legislatore, con la legge di bilancio 2020 (L. 160/2019), ha previsto, ai fini dell’imponibilità, un valore forfetario del benefit più basso per i veicoli meno inquinanti, aumentando, invece, gradatamente la base imponibile del valore dei veicoli con emissioni di anidride carbonica superiori ai 160 g/km.

In relazione ai veicoli ad uso promiscuo, nella C.M. n. 326/1997 è stato chiarito che la determinazione del valore imponibile sulla base del totale del costo di percorrenza esposto nelle tabelle ACI costituisce una determinazione dell’importo da assoggettare a tassazione del tutto forfetaria, che prescinde da qualunque valutazione degli effettivi costi di utilizzo del mezzo e anche dalla percorrenza che il dipendente effettua realmente. È del tutto irrilevante, quindi, che il dipendente sostenga a proprio carico tutti o taluni degli elementi che sono nella base di commisurazione del costo di percorrenza fissato dall’ACI.

Nel medesimo documento di prassi è stato altresì chiarito che il datore di lavoro, oltre a concedere la possibilità di utilizzare il veicolo in modo promiscuo, può fornire, gratuitamente o meno, altri beni o servizi (es. l’immobile per custodire il veicolo), che andranno separatamente valutati al fine di stabilire l’importo da assoggettare a tassazione in capo al dipendente.
L’Agenzia delle Entrate ha quindi affermato che nella fattispecie in esame l’installazione delle infrastrutture (wallbox, colonnine di ricarica e contatore a defalco) effettuata presso l’abitazione del dipendente rientri tra i beni che vanno separatamente valutati al fine di stabilire l’importo da assoggettare a tassazione in capo al dipendente.

Il consumo di energia non è fringe benefit

Per quanto riguarda il consumo di energia, l’Agenzia delle Entrate ha però rilevato che lo stesso non rientra tra i beni e servizi forniti dal datore di lavoro (c.d. “fringe benefit”), ma costituisce un rimborso di spese sostenuto dal lavoratore.

Al riguardo, l’Agenzia ricorda che le somme che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore a titolo di rimborso spese costituiscono, per quest’ultimo, reddito di lavoro dipendente, ad eccezione delle spese rimborsate nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, anticipate dal dipendente per snellezza operativa, quali ad esempio l’acquisto di beni strumentali di piccolo valore (es. carta della fotocopia o della stampante, pile della calcolatrice, ecc.), e fatte salve specifiche deroghe previste dal medesimo art. 51 comma 5 del TUIR per il rimborso analitico delle spese per trasferte.

Pertanto, nella fattispecie, i rimborsi per le spese di energia elettrica finalizzata alla ricarica degli autoveicoli assegnati in uso promiscuo costituiscono, ad avviso dell’Agenzia, reddito di lavoro dipendente soggetto a tassazione.

Fondo Piccoli Comuni a vocazione turistica: domande entro il 23/09/2023

Con un avviso del 9 agosto, il Ministero del Turismo informa di una proroga della misura agevolativa riguardante i Comuni a vocazione turistica.

Nel dettaglio, il termine previsto al 9 settembre 2023 per la presentazione delle domande a valere sul Fondo Piccoli Comuni a vocazione turistica sotto i 5000 abitanti, come richiesto da ANCI, è prorogato alle ore 9.00 del 23 settembre 2023.

Con il DM interministeriale n. 7726 del 14/04/2023 recante “Disposizioni applicative per le modalità di attuazione e di funzionamento del fondo istituito dall’articolo 1, comma 607 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, destinato a finanziare progetti di valorizzazione dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, classificati dall’Istituto nazionale di statistica come comuni a vocazione turistica, al fine di incentivare interventi innovativi di accessibilità, mobilità, rigenerazione urbana e sostenibilità ambientale” il Ministero ha dato attuazione a quanto previsto all’art. 1, c. 607, L.197/2022.

Il Fondo ha come obiettivo la valorizzazione dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, classificati dall’ISTAT come comuni a vocazione turistica, così da incentivare interventi innovativi nell’ambito dell’accessibilità, della mobilità, della rigenerazione urbana e della sostenibilità ambientale.

Gli interventi perseguibili sono finalizzati a:
1. accrescere l’accessibilità e la fruizione dell’offerta turistica da parte di persone con disabilità;
2. sostenere la creazione e lo sviluppo di nuovi itinerari e destinazioni turistiche, che valorizzino l’identità territoriale e la vitalità culturale dei piccoli comuni;
3. riqualificare tramite infrastrutture gli ambienti urbani e le aree oggetto di dissesto idrogeologico ai fini della fruizione turistica dell’area;
4. potenziare forme di mobilità sostenibile (es. ricoveri e/o depositi per biciclette; campeggi; turismo en plein air; turismo sulle vie d’acqua, marine, lacuali e fluviali e porti turistici);
5. creare, produrre e diffondere gli spettacoli dal vivo e festival;
6. promuovere e sviluppare il turismo locale del settore primario e delle attività artigianali tradizionali;
7. ridurre l’impatto ambientale del turismo;
8. incrementare la sostenibilità ambientale della destinazione turistica.

Dotazione – Il Fondo avrà una valenza pluriennale sul triennio 2023-2025 e una dotazione complessiva di 34 milioni, di cui 10 milioni di euro per l’anno 2023 e di 12 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025.

Beneficiari – Le misure sono indirizzate ai Comuni, in forma singola o aggregata, come individuati nell’Allegato 1 dell’Avviso pubblico, rispondenti ai seguenti requisiti:
1. popolazione residente inferiore a 5.000 abitanti come da rilevazione ISTAT;
2. vocazione turistica come individuata dalla categorizzazione ISTAT.

Nel dettaglio possono presentare domanda di finanziamento i Comuni italiani che siano in possesso di entrambi i seguenti requisiti:
a) popolazione residente Istat inferiore a 5.000 abitanti. Il possesso del requisito è riferito all’ultima rilevazione ISTAT disponibile alla data di pubblicazione dell’avviso.
b) appartenenza, alla data di pubblicazione dell’Avviso, del Comune, con riferimento alla “Classificazione ISTAT dei Comuni italiani in base alla densità turistica come indicato dall’articolo 182 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77”, in una delle seguenti categorie turistiche prevalenti:
◦ B – Comuni a vocazione culturale, storica, artistica e paesaggistica;
◦ C – Comuni con vocazione marittima;
◦ D – Comuni del turismo lacuale;
◦ E – Comuni con vocazione montana;
◦ F – Comuni del turismo termale;
◦ G – Comuni a vocazione marittima e con vocazione culturale, storica, artistica e paesaggistica;
◦ H – Comuni a vocazione montana e con vocazione culturale, storica, artistica e paesaggistica;
◦ L1 – Comuni a vocazione culturale, storica, artistica e paesaggistica e altre vocazioni;
◦ L2 – Altri comuni turistici con due vocazioni; P – Comuni turistici non appartenenti ad una categoria specifica

L’avviso specifica inoltre che, gli interventi oggetto di agevolazione devono essere finalizzati a:
1. accrescere l’accessibilità e la fruizione dell’offerta turistica da parte di persone con disabilità;
2. sostenere la creazione e lo sviluppo di nuovi itinerari e destinazioni turistiche, che valorizzino l’identità territoriale e la vitalità culturale dei piccoli comuni;
3. riqualificare tramite infrastrutture gli ambienti urbani e le aree oggetto di dissesto idrogeologico ai fini della fruizione turistica dell’area;
4. potenziare forme di mobilità sostenibile (es. ricoveri e/o depositi per biciclette; campeggi; turismo en plein air; turismo sulle vie d’acqua, marine, lacuali e fluviali e porti turistici);
5. creare, produrre e diffondere gli spettacoli dal vivo e festival;
6. promuovere e sviluppare il turismo locale del settore primario e delle attività artigianali tradizionali;
7. ridurre l’impatto ambientale del turismo;
8. incrementare la sostenibilità ambientale della destinazione turistica.

Le domande di partecipazione possono essere presentate dai soggetti in possesso dei requisiti tramite la piattaforma informatica del Ministero appositamente realizzata, a partire dal 17 luglio 2023.

Viene precisato che, eventuali richieste di informazioni/chiarimenti dovranno essere inoltrate all’ indirizzo:
piccoli.comuni@ministeroturismo.gov.it (PEO)
piccoli.comuni@pec.ministeroturismo.gov.it (PEC)

Si specifica trattandosi di una misura pluriennale, possono essere presentate anche istanze a valenza pluriennale per il periodo 2023-2025, in coerenza con la capienza finanziaria prevista per ciascuna annualità.

L’entità del contributo concedibile per ciascun progetto è non superiore alla misura massima del 100% della spesa ammissibile e ad euro 500.000,00 (cinquecentomila/00) per ciascuna annualità, per la progettazione e la realizzazione di ciascun intervento.

Le proposte progettuali non potranno essere inferiori ad un ammontare annuo pari a euro 150.000,00 (euro centocinquantamila/00).

Attenzione al fatto che le attività di compilazione e di presentazione telematica delle domande di finanziamento ( accedi qui per tutto l’occorrente) dovranno essere completate, a pena di esclusione, entro le ore 12:00 del 23 settembre 2023.

Eventuali richieste di informazioni/chiarimenti dovranno essere inoltrate all’ indirizzo: piccoli.comuni@ministeroturismo.gov.it (PEO) – piccoli.comuni@pec.ministeroturismo.gov.it (PEC)

Limite di 100.000 euro per il forfetario senza ragguaglio ad anno

La perdita di uno dei requisiti per l’applicazione del regime forfetario di cui alla L. 190/2014, o il verificarsi di una causa ostativa, comporta la fuoriuscita dal regime agevolato a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in cui l’evento si verifica.

La legge di bilancio 2023, integrando l’art. 1 comma 71 della L. 190/2014, ha tuttavia introdotto un’ipotesi al verificarsi della quale il regime forfetario viene disapplicato relativamente all’anno in corso; in particolare, se i ricavi o compensi percepiti sono superiori a 100.000 euro, il regime cessa di avere applicazione dall’anno stesso in cui tale condizione si verifica.
L’inserimento di una fattispecie di disapplicazione istantanea al superamento del limite di 100.000 euro è in linea con la Direttiva (Ue) 18 febbraio 2020 n. 285, che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 31 dicembre 2024; secondo quanto previsto dall’art. 288-bis inserito nella direttiva 2006/112/Ce, infatti, l’esenzione IVA collegata al regime forfetario può essere concessa “senza alcun massimale durante l’anno civile in cui avviene il superamento della soglia. Tuttavia, l’applicazione di tale […] opzione non può comportare la concessione di una franchigia al soggetto passivo il cui volume d’affari […] sia superiore a 100 000 EURO”.

La causa di decadenza scatta al superamento della soglia di ricavi o compensi “percepiti”; di conseguenza, ricavi o compensi fatturati nel 2023, ma percepiti nel 2024, non rilevano ai fini della soglia relativa al periodo di imposta 2023.

La disapplicazione del regime in corso d’anno ha effetti diversi a seconda dell’imposta interessata; l’IRPEF dovrà essere infatti calcolata in modo ordinario, prendendo a riferimento l’intero periodo di imposta, mentre l’IVA sarà dovuta solo a partire dalle “operazioni effettuate che comportano il superamento del predetto limite”.

In assenza di chiarimenti in merito, l’IVA dovrebbe essere dovuta a partire dall’operazione (inclusa) che determina il superamento del limite. Ragionando in questi termini, nel caso di ricavi percepiti pari a 90.000 euro a novembre 2023 ed emissione di un’ulteriore fattura per 20.000 euro, quest’ultima dovrebbe già recare l’addebito dell’imposta.
Il quadro si complica, però, se si considera che l’emissione della fattura e l’incasso del ricavo o del compenso possono non coincidere. Riprendendo il caso testé esemplificato, ove la fattura da 20.000 euro non sia incassata nell’anno non si verificherebbe alcuna decadenza immediata dal regime (in quanto i ricavi percepiti sono pari a 90.000 euro) per cui, in costanza di regime, non sarebbe stato necessario l’addebito dell’IVA.

La fuoriuscita dal regime porta con sé ulteriori conseguenze, relative, in particolare:
– agli obblighi di tenuta delle scritture contabili, che scattano sin dall’inizio dell’anno;
– all’applicazione delle ritenute.
In merito all’ultimo punto, l’Agenzia delle Entrate (risposte al Videoforum di Italia Oggi del 23 gennaio 2023) ha chiarito che le ritenute non possono essere applicate retroattivamente, rendendosi applicabili al momento della corresponsione dei compensi; analogamente, il professionista che decade dal regime forfetario in corso d’anno non assume retroattivamente il ruolo di sostituto d’imposta.
In altre parole, le ritenute dovranno essere applicate secondo i criteri generali, vale a dire sui compensi che saranno corrisposti dopo la fuoriuscita dal regime.

L’art. 1 comma 71 della L. 190/2014 si limita a stabilire che il regime forfetario “cessa di avere applicazione dall’anno stesso in cui i ricavi o i compensi percepiti sono superiori a 100.000 euro”, senza disciplinare esplicitamente i casi in cui l’attività sia iniziata o termini nel corso dell’anno; potrebbero quindi sorgere alcuni dubbi in merito alla necessità o meno di ragguagliare ad anno tale limite.
In linea generale, i limiti di ricavi o compensi devono essere ragguagliati ad anno solo nel caso in cui la norma lo preveda espressamente; si pensi, ad esempio:
– all’art. 1 comma 54 lett. a) della L. 190/2014, secondo cui possono applicare il regime forfetario i contribuenti che “hanno conseguito ricavi ovvero hanno percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a euro 85.000”;
– all’art. 18 commi 2 e 3 del DL. 36/2022, che estende l’obbligo di emissione di fattura elettronica a partire dal 1° luglio 2022 ai contribuenti forfetari che “nell’anno precedente abbiano conseguito ricavi ovvero percepito compensi, ragguagliati ad anno, superiori a euro 25.000”.

La chiusura dell’attività non ha effetti sul limite

L’assenza di un’esplicita indicazione normativa e di uno specifico chiarimento ufficiale inducono a escludere il ragguaglio ad anno del limite di 100.000 euro. Aderendo a tale impostazione, nessuna decadenza dal regime dovrebbe operare rispetto all’attività chiusa a metà anno con ricavi e compensi percepiti per 90.000 euro. Analogamente dovrebbe ragionarsi nel caso in cui l’attività sia stata iniziata in corso d’anno.

Due regimi agevolati accanto all’IRES «ordinaria»

Nell’ambito della L. 111/2023, legge delega per la riforma fiscale, accanto all’IRES “ordinaria” sono previsti alcuni regimi agevolativi.

L’art. 6 comma 1 lett. a) della L. 111/2023 dispone “la riduzione dell’aliquota dell’IRES nel caso in cui sia impiegata in investimenti, con particolare riferimento a quelli qualificati, o anche in nuove assunzioni ovvero in schemi stabili di partecipazione dei dipendenti agli utili una somma corrispondente, in tutto o in parte, al reddito entro i due periodi d’imposta successivi alla sua produzione”.
Tale riduzione “non si applica al reddito corrispondente agli utili che, nel predetto biennio, sono distribuiti o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’attività d’impresa. La distribuzione degli utili stessi si presume avvenuta qualora sia accertata l’esistenza di componenti reddituali positivi non contabilizzati o di componenti negativi inesistenti”. Viene inoltre previsto il “coordinamento di tale disciplina con le altre disposizioni in materia di reddito d’impresa”.

La lettera b) del comma 1 dell’art. 6, in alternativa alle disposizioni di cui al primo e al secondo periodo della citata lettera a), prevede per le imprese che non beneficiano della suddetta riduzione la “possibilità di fruire di eventuali incentivi fiscali riguardanti gli investimenti qualificati, anche attraverso il potenziamento dell’ammortamento, nonché di misure finalizzate all’effettuazione di nuove assunzioni, anche attraverso la possibile maggiorazione della deducibilità dei costi relativi alle medesime”.

Come rilevato nel dossier del 3 agosto 2023 n. 25/1, viene quindi introdotto un doppio regime agevolato rispetto all’IRES ordinaria: accanto all’aliquota ordinaria (attualmente pari al 24%) infatti, in sostituzione del principio di delega originariamente previsto alla lettera a), si prevedono due regimi di vantaggio complementari.

Il primo prevede la riduzione dell’aliquota dell’IRES nel caso in cui sia impiegata in investimenti, con particolare riferimento a quelli qualificati, in nuove assunzioni o in schemi stabili di partecipazione dei dipendenti agli utili, una somma corrispondente, in tutto o in parte, al reddito entro i due periodi d’imposta successivi alla sua produzione.
Pertanto, si prevede che il Governo, nell’esercizio della delega, disponga la riduzione dell’aliquota dell’IRES nel caso di impiego del reddito prodotto (cfr. dossier del 6 luglio 2023):
– in investimenti, con particolare riferimento a quelli “qualificati” (che dovranno essere definiti);
– in nuove assunzioni ovvero in schemi stabili di partecipazione dei dipendenti agli utili.

A differenza di quanto avviene ordinariamente per la fruizione degli incentivi fiscali, come evidenziato nell’originaria Relazione illustrativa, la riduzione dell’aliquota precede l’effettuazione degli investimenti: questi ultimi devono essere operati entro i due periodi d’imposta successivi a quello nel quale è stato prodotto il reddito assoggettato a imposizione con l’aliquota ridotta.

Le imprese che non beneficiano della suddetta riduzione dell’aliquota IRES potrebbero in alternativa beneficiare:
– di un incentivo legato al potenziamento dell’ammortamento in relazione agli investimenti “qualificati” (che potrebbe essere un nuovo super-ammortamento) e
– di misure finalizzate all’effettuazione di nuove assunzioni, che potrebbero assumere la forma della super-deduzione dei relativi costi (con una modalità di funzionamento potenzialmente similare a quella prevista dall’attuale “nuovo Patent box”).

Cambiamenti in vista per i fringe benefit nella riforma fiscale

Nell’ambito della L. 111/2023, legge delega per la riforma fiscale, viene confermata l’intenzione di procedere a una revisione della disciplina dei fringe benefit.

Allo stato attuale, a norma dell’art. 51 comma 1 del TUIR, il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro (c.d. “principio di onnicomprensività”). I beni e servizi forniti al dipendente diversi dalle somme in denaro vengono individuati con il termine fringe benefit dalla prassi dell’Amministrazione finanziaria.
Il comma 3 (terzo periodo, prima parte) dell’art. 51 del TUIR stabilisce, tuttavia, che non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se, complessivamente, di importo non superiore a 258,23 euro nel periodo d’imposta. Il superamento di quest’ultimo importo comporta la tassazione ordinaria dell’intero ammontare e non soltanto della quota parte eccedente il citato limite.

Tale soglia di non imponibilità è stata raddoppiata a 516,46 euro per il 2020 e per il 2021, mentre per il 2022 è stata innalzata dapprima a 600 euro e poi a 3.000 euro, includendo anche le somme erogate o rimborsate ai dipendenti dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale.
L’innalzamento della soglia previsto negli ultimi anni è sempre stato riconosciuto a tutti i lavoratori dipendenti, senza alcuna distinzione.
Per il 2023, invece, l’art. 40 del DL 48/2023 ha incrementato il suddetto limite a 3.000 euro per i soli lavoratori dipendenti con figli a carico, includendo tra i fringe benefit concessi ai lavoratori anche le utenze domestiche, generando quindi un doppio binario per la determinazione del reddito di lavoro dipendente in relazione ai fringe benefit 2023. Al riguardo, la circolare n. 23/2023 ha, tra l’altro, chiarito che per fruire della soglia maggiorata occorre una specifica dichiarazione del lavoratore (si veda “Senza autodichiarazione del dipendente con figli niente fringe benefit a 3.000 euro” del 16 agosto).

L’art. 5 comma 1 lettera e) della L. 111/2023, confermando quanto previsto nel testo originario del Ddl., prevede ora “per i redditi di lavoro dipendente e assimilati, la revisione e la semplificazione delle disposizioni riguardanti le somme e i valori esclusi dalla formazione del reddito, con particolare riguardo ai limiti di non concorrenza al reddito previsti per l’assegnazione dei compensi in natura, salvaguardando le finalità della mobilità sostenibile, dell’attuazione della previdenza complementare, dell’incremento dell’efficienza energetica, dell’assistenza sanitaria, della solidarietà sociale e della contribuzione agli enti bilaterali”.

Secondo la Relazione illustrativa, tale revisione è volta a realizzare una semplificazione delle disposizioni concernenti le modalità di determinazione del reddito, oltre che una specifica razionalizzazione delle somme e dei valori che concorrono, in tutto o in parte, a formare l’imponibile.
È previsto che, in particolare, si proceda anche a una rivisitazione dei limiti di non concorrenza al reddito dei fringe benefit, cioè di quei beni e servizi che il datore di lavoro mette a disposizione dei propri dipendenti con la finalità di incentivare e valorizzare il lavoratore, oltre che di creare una fidelizzazione del lavoratore medesimo.

Focus su specifiche finalità

In tale ambito, si prevede che siano in particolar modo salvaguardate alcune specifiche finalità:
– mobilità sostenibile;
– previdenza complementare;
– efficientamento energetico;
– solidarietà sociale;
– contribuzione agli enti bilaterali.

In relazione ai redditi di lavoro dipendente, il Viceministro dell’Economia e delle finanze, Maurizio Leo, nel corso del suo intervento alla Camera del 4 agosto 2023 sul disegno di legge delega, ha affermato che si è pensato di rendere analiticamente deducibili certi costi e certe spese, come quelle per la mobilità e per la formazione, “cercando di elevare il tetto dei fringe benefit, i famosi 3.000 euro”, precisando inoltre che “già l’abbiamo fatto nella legge di bilancio e continueremo a farlo nei successivi provvedimenti.”
Il Viceministro ha inoltre affermato che “al tempo stesso, abbiamo ritenuto meritevole di attenzione una detassazione degli straordinari, soprattutto per la fasce più deboli”.

Efficacia delle dimissioni dei neo-genitori condizionata alla convalida

Per legge, la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza nonché dai lavoratori neo-genitori durante i primi tre anni di vita del bambino (o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni decorrenti dalle comunicazioni di cui all’art. 54 comma 9 del DLgs. 151/2001) devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali competente per territorio (art. 55 comma 4 del DLgs. 151/2001).

Attualmente, la convalida delle dimissioni dei lavoratori neo-genitori presuppone il colloquio diretto della lavoratrice o del lavoratore interessato con il personale dell’Ispettorato territoriale del lavoro (ITL), il quale rappresenta un efficace strumento per valutare e accertare la genuinità della volontà di risolvere il rapporto di lavoro.
È comunque anche ammessa, su richiesta della lavoratrice o del lavoratore interessato, l’effettuazione del colloquio da remoto mediante l’utilizzo della piattaforma Microsoft teams (cfr. nota INL n. 2897/2022).

A tal fine sul sito istituzionale dell’Ispettorato del Lavoro risulta scaricabile il relativo modulo di richiesta nella sezione “Modulistica”, da trasmettere all’indirizzo e-mail dell’ITL competente – individuato in base alla Provincia corrispondente al luogo di lavoro o di residenza del lavoratore o della lavoratrice –, con indicazione della casella di posta elettronica del lavoratore padre o della lavoratrice madre alla quale dovrà essere inviato il link per il collegamento alla piattaforma Microsoft teams e con allegazione della documentazione richiesta (quindi, fotocopia non autenticata del documento di identità e lettera di dimissioni/risoluzione consensuale debitamente datata e firmata).

Si evidenzia che la convalida, in tali ipotesi, è fondamentale, in quanto le dimissioni in questione devono essere convalidate a pena di inefficacia.
L’ultima parte del comma 4 dell’art. 55 del DLgs. 151/2001 dispone infatti espressamente che l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro sia sospensivamente condizionata alla convalida da parte dell’Ispettorato del lavoro.

Sul punto la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5598/2023, è intervenuta chiarendo che l’inefficacia delle dimissioni non convalidate non è limitata al solo periodo “protetto” dalla norma – vale a dire la gravidanza e i primi tre anni di vita del bambino, seppur la pronuncia si sia riferita alla precedente versione della disposizione in argomento, che faceva riferimento al primo anno di vita del minore –, per cui una volta trascorso detto periodo, le dimissioni non producono in ogni caso l’estinzione del rapporto di lavoro.

In mancanza della convalida da parte dei servizi ispettivi, le dimissioni non producono quindi effetti, ciò in quanto “la cessazione del periodo protetto costituisce un fattore neutro”, inidoneo, in quanto tale, a incidere “sulla modalità di formazione della volontà dismissiva espressa dal dipendente”.

Nel caso di specie, in primo grado, il giudice aveva condannato il datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive e del TFR maturati dalla data nella quale la lavoratrice, assente per maternità, aveva rassegnato le dimissioni – le quali non erano state convalidate – alla data in cui terminava il periodo protetto, mentre la Corte di Appello, con una statuizione poi confermata dalla Cassazione, ha dichiarato l’inefficacia delle dimissioni rassegnate per non essere mai intervenuto il prescritto provvedimento di convalida da parte dei servizi ispettivi, con diritto della dipendente al pagamento degli importi corrispondenti alle retribuzioni mensili percepite fino alla data di deposito del ricorso di primo grado, detratto l’aliunde perceptum.

Revisione dell’IRPEF secondo il principio di progressività

Nella legge delega per la riforma fiscale (L. 9 agosto 2023 n. 111), pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 14 agosto, viene confermata, con qualche modifica rispetto al testo originario del Ddl., la revisione del sistema di imposizione sui redditi delle persone fisiche, che mira a una graduale riduzione dell’IRPEF.
In particolare, l’art. 5 stabilisce i principi e i criteri direttivi per la revisione del sistema impositivo sui redditi delle persone fisiche, nel rispetto del principio di progressività e nella prospettiva della transizione del sistema verso l’aliquota impositiva unica.

Tale obiettivo sarà perseguito attraverso il riordino delle aliquote di imposta, degli scaglioni di reddito, nonché delle deduzioni dalla base imponibile, delle detrazioni dall’imposta lorda e dei crediti d’imposta, tenendo conto delle loro finalità principali.
Tra queste si sottolineano la composizione del nucleo familiare (con specifico riferimento a quelli in cui sia presente una persona con disabilità) e i costi per la crescita dei figli, la tutela del bene casa (in proprietà o in locazione), la salute, l’istruzione, la previdenza complementare, il miglioramento dell’efficienza energetica e l’inserimento nel mercato del lavoro dei giovani che non hanno compiuto il trentesimo anno di età.

Si ricorda che gli scaglioni di reddito imponibile e le relative aliquote applicabili di cui all’art. 11 del TUIR sono già diminuiti da cinque a quattro per effetto della modifica introdotta dall’art. 1 comma 2 lett. a) della L. 234/2021 (legge di bilancio 2022). Tali aliquote, stando a quanto annunciato dal Viceministro all’Economia, Maurizio Leo, nel suo intervento all’Assemblea del 4 agosto, dovrebbero ulteriormente ridursi a tre, per poi arrivare gradualmente verso la flat tax.

Il secondo obiettivo della riforma dell’IRPEF è il perseguimento dell’equità orizzontale. A tal proposito, l’art. 5 della legge delega prevede l’attuazione di alcune misure, tra le quali la progressiva applicazione della medesima area di esenzione fiscale (c.d. “no tax area”) e del medesimo carico impositivo nell’ambito dell’IRPEF, indipendentemente dalla natura del reddito prodotto, con priorità per l’equiparazione tra i redditi di lavoro dipendente e i redditi di pensione.
Attualmente l’area di esenzione fiscale, con la disciplina delle detrazioni IRPEF per tipologie reddituali di cui all’art. 13 del TUIR, è pari a:
– 8.173 euro, per i redditi di lavoro dipendente, in quanto la detrazione di 1.880 euro corrisponde all’imposta lorda dovuta su tale reddito (23%), annullando quindi il relativo carico fiscale;
– 8.500 euro, con riferimento ai redditi di pensione, per le stesse ragioni di cui sopra, in quanto spetta una detrazione di 1.955 euro.

Un’altra misura prevista dalla legge delega è l’applicazione, in luogo delle aliquote per scaglioni di reddito, di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali, in misura agevolata, sulle retribuzioni corrisposte a titolo di straordinario che eccedono una determinata soglia e sui redditi di lavoro dipendente e assimilati riferibili alla percezione della tredicesima mensilità.
Il medesimo regime di imposizione sostitutiva si applica, per espressa disposizione, anche sui premi di produttività.

Sul punto, si rileva che il disegno di legge originario presentato dal Governo, stando alle bozze che erano circolate, prevedeva che la suddetta imposta sostitutiva si dovesse applicare in via generalizzata, su una base imponibile pari alla differenza tra il reddito del periodo d’imposta e il reddito più elevato tra quelli relativi ai tre periodi d’imposta precedenti, al fine di agevolare l’incremento reddituale su base annuale.
In relazione ai redditi di lavoro dipendente e assimilati, per effetto delle modifiche apportate nel corso dell’iter parlamentare, l’applicazione di tale imposta sostitutiva è stata pertanto limitata (cfr. dossier n. 38/1).

Tra le altre misure previste dalla legge delega in relazione all’imposizione sui redditi delle persone fisiche si evidenzia:
– la possibilità di dedurre le spese sostenute per la produzione dal reddito di lavoro dipendente e assimilato, anche in misura forfetizzata;
– la possibilità di detrarre, per i contribuenti, i contributi previdenziali obbligatori in sede di determinazione del reddito della pertinente categoria e l’eccedenza del reddito complessivo;
– l’inclusione nel reddito complessivo, rilevante ai fini della spettanza di detrazioni, deduzioni o benefici a qualsiasi titolo, anche di natura non tributaria, dei redditi assoggettati a imposte sostitutive e a ritenute alla fonte a titolo d’imposta in relazione all’IRPEF.

Con riferimento a tale ultimo punto, infatti, la disciplina attuale che fa riferimento al “reddito complessivo” ai fini IRPEF comporta che rilevino solo i redditi soggetti a tassazione ordinaria. In deroga a tale principio, sono previste apposite disposizioni che considerano rilevanti anche redditi esenti o soggetti a un diverso regime impositivo: l’obiettivo della riforma è quindi di prevedere una nuova disciplina di carattere generale.